Così Monti ha espugnato "Piazzapulita"

Massimiliano Lenzi

Non c’è niente di più ostico, per un Professore – avvezzo all’intelligere dei libri ed al rigore dei numeri – che comunicare in televisione, dentro un talk-show. Significa scendere dalla cattedra del sapere, mischiarsi al volgare, nel senso non dantesco ma populista e postmoderno, del linguaggio mediatico fatto di anti verità filosofica e di verosimile del reale. Eppure guardando giovedì sera Mario Monti, presidente del Consiglio, bocconiano, seduto nell’arena di “Piazzapulita”, su La7, c’era da sturarsi le orecchie e da aprire gli occhi.

    Non c’è niente di più ostico, per un Professore – avvezzo all’intelligere dei libri ed al rigore dei numeri – che comunicare in televisione, dentro un talk-show. Significa scendere dalla cattedra del sapere, mischiarsi al volgare, nel senso non dantesco ma populista e postmoderno, del linguaggio mediatico fatto di anti verità filosofica e di verosimile del reale. Eppure guardando giovedì sera Mario Monti, presidente del Consiglio, bocconiano, seduto nell’arena di “Piazzapulita”, su La7, davanti al conduttore unico Corrado Formigli, una cassettiera rossomoderno alle spalle e due giornalisti, Federico Fubini del Corriere della Sera e Rachel Donadio del New York Times a porgli qualche domanda, c’era da sturarsi le orecchie e da aprire gli occhi. Mario Monti funzionava. Parole precise, chirurgiche, mai sganciate dalle conseguenze dell’azione del suo governo in questi mesi, occhi fieri, dritti alla telecamera o al conduttore, nessun cedimento alla retorica da tubo catodico. E quando sui vidiwall scorrono i reportage preparati dai giornalisti del programma, la testa si volta verso quei grandi schermi: la crisi greca, l’Italia che rischia di finire così, l’economia in crisi, le banche che non prestano danaro, l’Islanda pioniera (suo malgrado) dell’incubo default. Facce e temi vanno in onda, tra un pit-stop e l’altro, infarciti di domande. Monti parla, spiega, ogni tanto si aiuta con alcuni fogli di appunti. Accompagna. Le gambe non si agitano, le mani non si piegano, il turpiloquio, prêt-à-porter della tv del XXI secolo, è in esilio e persino gli occhiali (antitelevisivi) non danno fastidio.

    Sarà che i due giornalisti, Fubini e la Donadio, appaiono impacciati davanti al Presidente, sarà che la tv si può scrivere ma non prevedere, sta di fatto che dopo poco più di mezz’ora il programma si trasforma in un faccia a faccia tra il conduttore Formigli e Monti, tra il premier e i servizi filmati. Una situazione che accresce lo charme mediatico del Professore, liberato dalle liturgie che ingabbiano ogni format ed ogni talk. Da Bruno Vespa, nella sua prima uscita in tv da governante, Monti era apparso più in difficoltà, impegnato a spiegare agli italiani ma anche a cercare di non mostrarsi complice del conduttore. La complicità, nei talk, equivale a far passare chi la incarna come il vecchio anche se è appena arrivato; troppi bla bla bla sono andati in scena in questi anni. Dalla Annunziata, dalla Gruber, da Carelli (Sky Tg24), il Professore era invece ancora in cattedra, argomentava ma insegnava. Algido, senza emozionare ed emozionarsi. Da Fabio Fazio, infine, era il protagonista a cui il conduttore aveva scelto di fare da sparring partner. Troppo facile per convincere chi non lo ama. Giovedì Formigli ha fatto le domande e lui ha risposto. Sempre. Nell’equilibro dell’audiovideo che poi è quel che resta di una performance in tv, le parole di Monti non sono state sopraffatte dalle immagini. E questo per un paese avvezzo al braccio piegato dei vaffa è già un successo. 7,56 per cento di share, con oltre un milione e mezzo di spettatori. Più del doppio del guzzantismo di Sabina o del dandinismo di Serena (anche quelli andati in onda su La7).