Come evitare una fine ingloriosa

Giuliano Ferrara

Bossi è finito e la Lega si batte per una incerta sopravvivenza ai minimi termini. Berlusconi è ferito, versa sangue elettorale e non sembra che sappia dove andare, almeno in quanto capo della coalizione che vinse le elezioni politiche del 2008 e ora non c’è più o del movimento detto Popolo della libertà (Pdl), un’evanescente costellazione di stelle spente una volta esaurita l’energia carismatica del capo e fondatore.  Eppure una differenza c’è.

Leggi Un Cav. indeciso a tutto per resuscitare il Pdl. E Casini non lo aiuterà

    Bossi è finito e la Lega si batte per una incerta sopravvivenza ai minimi termini. Berlusconi è ferito, versa sangue elettorale e non sembra che sappia dove andare, almeno in quanto capo della coalizione che vinse le elezioni politiche del 2008 e ora non c’è più o del movimento detto Popolo della libertà (Pdl), un’evanescente costellazione di stelle spente una volta esaurita l’energia carismatica del capo e fondatore.  Eppure una differenza c’è: Bossi è andato per i boschi, Berlusconi è stato coautore dl governo Monti di salvezza nazionale ed euroepa. Dunque la situazione è eccellente.

    L’ultima carta, per evitare crisi isteriche, fughe personalistiche, piccole trame di gruppo e di cordata, completamente senza senso, è questa: essere conseguenti, seri, responsabili nell’affrontare una congiuntura di caos più grande della crisi dei partiti, la crisi del mondo occidentale globalizzato e dell’Europa in preda alle convulsioni finanziarie e sociali da debito. Uno dice: torna Berlusconi. Torna e si intesta una alzata di ingegno che smentisce il suo comportamento passato. Smentisce le sue manovre gigantesche dell’estate 2011, la proclamazione del pareggio di bilancio come risultato storico, infine le dimissioni e il varo di un governo  di emergenza che sta cercando una strada in mezzo a tasse, risorse scarse, riforme possibili, e che esaurirà la sua missione con le elezioni del 2013.

    Berlusconi si intesta robe come l’uscita dall’euro? Rilancia la crescita fondando il suo discorso sul vecchio antifiscalismo liberale delle origini? Annuncia una nuova rivoluzione di idee e di progetti fondata sulla libertà di impresa? Chi non ha portato il cervello all’ammasso sa che questo non è possibile. Che non è credibile. Che è sconclusionato. Le posizioni antifinanza, antistato, antisistema sono saldamente occupate da tipi come Tsipras in Grecia e Grillo in Italia, sono posizioni legittime ma non hanno alcunché da spartire con il progetto politico del 1994, un altro mondo, un’altra economia, altre coordinate del discorso e dei fatti. Sarebbe solo un gioco a sfasciare. A scimmiottare come fa Tremonti. E a perdere. Perdere tutto, anche la faccia o quel che ne rimane; e in ogni caso il recupero di un eventuale consenso popolare sarebbe risibile e di tipo emozionale, politicamente e civilmente isolato da una sinistra che arriverebbe, con tutta la sua debolezza, con tutta la sua incapacità di fare coalizione, a coprire con lo schema di Vasto (un governo Bersani Vendola Di Pietro) anche un’ampia area di centro, riformatrice e moderata gentilmente offerta in regalo. Una batosta da ricordare per decenni e la cancellazione nel grottesco di una lunga storia sarebbero il risultato del capolavoro.

    C’è una alternativa? Sì, credo ci sia, ed è una strada obbligata al termine della quale non ci sarà forse un trionfo, anzi sicuramente non ci sarà un trionfo, ma qualcosa di significativo e di utile per il futuro sì, quello ci sarà. Berlusconi deve fermare la valanga della demagogia piccolo politica e piccolo partitica, prendere in mano le redini e delegare tutti i poteri possibili a un nucleo di classe dirigente che ha un solo compito: essere conseguenti a quel che si è fatto, per dare una mano a un paese in gravi difficoltà, guardando oltre l’orizzonte della piccola apparente convenienza dell’attimo già fuggito. Io me la sarei giocata con le elezioni sotto la neve, quella lunga e alla fine brutta storia di un sistema politico che si paralizzava dai due lati, governo e opposizione. Berlusconi decise diversamente. Ora deve pedalare su quella strada, anche perché la soluzione uscita dalle sue dimissioni non si è rivelata, grazie a Monti, un cappio al collo di quel che Berlusconi rappresenta, ma un compromesso decente, che ha restaurato un minimo di governabilità del paese, una possibilità di convivere con alleati e partner nel mondo, un’ipotesi (non più di questo, già molto) di lenta e graduale uscita dagli aspetti più drammatici dell’emergenza.

    A sinistra si sogna che alla fine Berlusconi faccia le mattane per facilitare a loro il compito di mettere le mani sul governo comunque sia. Il partito di Repubblica è oppresso dall’idea che con Monti si prepari la strada a un’intesa di responsabilità nazionale che escluda il loro giro di potere da un dominio pieno e incontrollato sul postberlusconismo: tutti i nemici e gli avversari di Berlusconi fanno conto di avere tra le mani il paese di prima, il paese delle colpe personali, degli scandali castali, il paese che avevano in parte artificialmente costruito con la loro capacità di fuoco polemico, cieca ma notevole in un’epoca di crociate manettare. L’idea che Berlusconi ratifichi sul serio il proprio essere, se non in un “fuori”, in un “dopo”, che si renda conto della posta in gioco e faccia la sua parte in commedia appoggiando senza riserve la scelta dello scorso novembre, promuovendo un nuovo equilibrio unitario e di impegno nazionale sulla scia delle scelte fatte allora, li mette in uno stato di itterizia politica. Sono loro la bussola per i riformatori, i conservatori, i moderati, i liberali e in genere i non arruolati dell’Italia che si astiene dal voto o vota a casaccio: fare il contrario di quello che desiderano è la parola d’ordine.

    Il problema non è che Casini stia con Berlusconi. Non è ricomporre il popolarismo. Tutte puttanate. Il problema è che l’esercito sparso che una volta fu stimolato e organizzato nella coalizione di centrodestra sia messo con sicurezza, con forza persuasiva, facendo delle scelte univoche e congedando chi non ci sta, al servizio di un manifesto per il paese, di una prospettiva 2013 che esclude il ritorno alla faziosità d’un tempo, e questo sul fondamento solido di un’analisi economica, sociale e istituzionale chiara. Non si governa con la foto di Vasto, non si governa rimpannucciando “tutti i nemici della sinistra”, non si governa con la legge elettorale attuale, non si governa con queste istituzioni in cui l’esecutivo è fragile. E sopra tutto, bisogna governare una grande crisi strategica e salvare e rilanciare un paese che di quella crisi rischia di pagare alla fine il conto pesante. Questo è un discorso convincente, specie se accoppiato alla disponibilità verso nuove leadership, e alla indicazione senza remore di una prospettiva di unione o di patto nell’interesse dell’Italia. Fuori di questo c’è solo l’orrore senza fine della dissoluzione progressiva e della cancellazione e dannazione della memoria.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.