Economia a 5 stelle

Michele Masneri

Te la do io l’economia. E’ interessante esaminare le sedici pagine di programma economico del Movimento Cinque stelle, presenti sul sito internet di Beppe Grillo e analizzate in questi giorni anche da due intellettuali di area liberista come Alessandro De Nicola e Sandro Brusco. Il primo sull’Espresso ha sottolineato alcune vaghezze del programma grillesco. Soprattutto sul tema del debito pubblico, infatti, c’è solo una frase vaga e contorta, molto Prima Repubblica.

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    Te la do io l’economia. E’ interessante esaminare le sedici pagine di programma economico del Movimento Cinque stelle, presenti sul sito internet di Beppe Grillo e analizzate in questi giorni anche da due intellettuali di area liberista come Alessandro De Nicola e Sandro Brusco. Il primo sull’Espresso ha sottolineato alcune vaghezze del programma grillesco. Soprattutto sul tema del debito pubblico, infatti, c’è solo una frase vaga e contorta, molto Prima Repubblica: “Riduzione del debito pubblico con forti interventi sui costi dello stato con il taglio degli sprechi e con l’introduzione di nuove tecnologie per consentire al cittadino l’accesso alle informazioni e ai servizi senza bisogno di intermediari”. Non si sa insomma quali siano i “forti interventi sui costi dello stato” e soprattutto quali le “nuove tecnologie che consentano l’accesso a informazioni e servizi”.

    Molte sono poi le voci di spesa che Grillo punterebbe a introdurre: diffusione di Internet nelle scuole, insieme a libri gratuiti scolastici (in formato ebook), corsi di italiano per stranieri. Ma soprattutto un ben più sostanzioso sussidio di disoccupazione per tutti, che non si sa con quali fondi potrebbe essere finanziato. E ancora: Adsl e Wimax (Internet ad alta velocità senza fili) su tutto il territorio nazionale. Da notare che il programma grillesco ha in sé l’anticorpo che lo distruggerà, prevedendo per ogni nuova legge un esame di “effettiva copertura finanziaria” (che nessuna delle succitate proposte passerebbe). Ma non c’è solo la spesa pubblica. A parte qualche voce di buon senso (abolizione di province e piccoli comuni), largo spazio è lasciato a un certo dirigismo: una norma a salvaguardia dell’italianità di “industrie alimentari e manifatturiere con un prevalente mercato interno” che evoca l’acquisto di Parmalat da parte della francese Lactalis (anche se la stessa Parmalat fatturava solo il 30 per cento in Italia). Incentivi invece a “produzioni locali” (anche decotte?), alle società no profit (con che criteri?), abolizione della legge Biagi senza spiegare però in che modo vada riformato il mercato del lavoro.

    Il terzo pilastro della politica economica grillesca è un consumerismo radicale: no alle stock option, no alle partecipazioni incrociate di banche e imprese; introduzione della class action. Poi, abolizione delle “scatole cinesi” di Borsa cioè una revisione della legge Draghi; abolizione di cariche multiple da parte di consiglieri di amministrazione nei consigli di società quotate (Grillo forse non sa che è già in vigore grazie al governo Monti); introduzione di “strutture di reale rappresentanza dei piccoli azionisti nelle società quotate”. E ancora: trasformazione di tutta l’industria editoriale in public company obbligatorie, con azionariato diffuso per proprietari di giornali e tv (2 canali Rai venduti ai privati) e tetto all’azionista di maggioranza sia per reti che carta stampata al 10 per cento. Per le nuove frequenze, beauty contest ogni cinque anni (ma chi investirà cifre imponenti per un periodo così breve?). Ci sono poi alcune norme ammazza-Telecom (vecchio pallino del guru genovese): eliminazione del canone telefonico e nazionalizzazione della rete telefonica. Insomma, un mix di keynesismo, un po’ di protezionismo da Prima Repubblica e qualche riferimento a esperienze anglosassoni.
    Per quanto riguarda le pensioni, infine, di cui non si fa parola nel programma, si potrebbe supporre che vada bene la riforma Fornero così com’è. E invece fa testo – ha segnalato Sandro Brusco su NoisefromAmerika.org – un post sul sito di Grillo del 18 agosto. Il comico contemporaneamente denunciava l’eccessiva spesa pensionistica e difendeva il sistema contributivo con la motivazione che “non me ne frega un cazzo delle statistiche. Dopo 35 anni di contributi ho il diritto di riposarmi”.

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