Sulle orme di Chen Guangcheng

Valentina Fizzotti

Questa volta potrebbe avercela fatta davvero Chen Guangcheng, attivista cinese cieco, a scappare da casa sua. Lì dal 2010 il regime cinese lo teneva segregato con moglie e figlia (dopo averlo tenuto in carcere per quattro anni) per aver denunciato 130mila casi fra aborti forzati e sterilizzazioni sulle donne, gli effetti della politica del figlio unico in vigore in Cina da oltre trent’anni.

    Questa volta potrebbe avercela fatta davvero Chen Guangcheng, attivista cinese cieco, a scappare da casa sua. Lì dal 2010 il regime cinese lo teneva segregato con moglie e figlia (dopo averlo tenuto in carcere per quattro anni) per aver denunciato 130mila casi fra aborti forzati e sterilizzazioni sulle donne, gli effetti della politica del figlio unico in vigore in Cina da oltre trent’anni. Che sia fuggito, forse domenica, e che sia stato “difficile” lo sappiamo da un video diffuso oggi e messo online da Boxun (sito Web dei dissidenti cinesi negli Stati Uniti) in cui Chen parla direttamente al premier Wen Jiabao da una stanza stretta. 

    Non si avevano sue notizie da mesi, nessuno riusciva ad avvicinarsi a quella casa sigillata nella provincia dello Shandong e i suoi amici, attivisti di tutto il mondo, temevano che lo avessero ammazzato. Anche perché quando era riuscito a diffondere un videomessaggio la polizia aveva fatto irruzione e lo aveva riempito di botte, senza permettergli poi di ricevere soccorsi medici. Lui invece ha finto di dormire molto, così che i carcerieri si abituassero a non vederlo più girare inquieto per casa, poi è strisciato in giardino e ha scavalcato la recinzione. Fuori lo aspettava un’altra attivista, He Peirong, che dice di averlo accompagnato “in un posto sicuro” e lontano. Il fondatore dell’associazione China Aid, Bob Fu, ha assicurato che “Chen ora è a Pechino in un posto sicuro al 100 per cento”, anche se la stessa He ha smentito che si tratti dell'ambasciata americana.

    Dal suo rifugio Chen chiede al premier cinese che siano puniti i carcerieri che lo hanno quasi ammazzato di botte, quelli che gli dissero che “della legge se ne fregano” e che isolarono la cittadina dove viveva. Gli chiede di mettere fine alla corruzione e soprattutto di proteggere la sua famiglia. Anche perché le forze dell’ordine locali hanno già circondato casa di suo fratello, vicino a Linyi, e hanno tentato di entrare: lui per difendersi ha agitato un coltello da macellaio. Ora i suoi amici, capeggiati da Reggie Littlejohn di Women’s Rights Without Frontiers, chiedono al segretario di stato americano, Hillary Clinton, di difendere la causa di Chen nella sua prossima visita a Pechino, il 3 e 4 maggio.