Arriva il manifesto anti austerità

Michele Masneri

Altro che recessione, qui siamo in piena grande depressione. A sostenerlo è Paul Krugman nel nuovo saggio che esce il 30 aprile in America. Più che di un semplice libro, si tratta di un manifesto anti austerity che prende il via da un parallelo preciso con il periodo tra le due guerre, quando l’economia fu salvata da John Maynard Keynes: uno che se rinascesse oggi non troverebbe molto seguito, almeno dalle parti di Francoforte.

    Altro che recessione, qui siamo in piena grande depressione. A sostenerlo è Paul Krugman nel nuovo saggio che esce il 30 aprile in America. Più che di un semplice libro, si tratta di un manifesto anti austerity che prende il via da un parallelo preciso con il periodo tra le due guerre, quando l’economia fu salvata da John Maynard Keynes: uno che se rinascesse oggi non troverebbe molto seguito, almeno dalle parti di Francoforte.

    Si intitola “End this depression now”, edito da Norton & Company, il nuovo volume del premio Nobel e columnist del New York Times, dal titolo che sembra quello di un manuale di self help psicologico. Ma il titolo serve a sgombrare il campo dall’equivoco lessicale: smettiamola di fingere, dice il Nobel, qui siamo nel mezzo di una vera depressione, chiedetelo agli spagnoli, con la disoccupazione al 23,6 per cento. La situazione è insomma la stessa in cui si trovò Keynes: “Una cronica condizione di attività economica inferiore al normale per un periodo considerevole, senza alcuna tendenza evidente né verso la ripresa né verso un completo collasso”. Con l’aggravante, oggi come allora, che “c’è qualche economista e qualche politico che sembra già soddisfatto dal fatto che non siamo al completo collasso”. Anche il panorama intellettuale non cambia rispetto a 75 anni fa: e qui con ironia tipica krugmaniana, l’autore cita un articolo che sembra dare ragione ai suoi oppositori, i quali affermano per esempio che la disoccupazione è fattore strutturale e non modificabile da interventi statali; per poi chiarire che “si tratta di uno scritto del 1936”.

    La ricetta per uscire dalla nuova grande depressione è la stessa di allora: agire sulla spesa pubblica. Eppure non lo si fa perché  “molte persone che contano, politici e la vasta classe di intellettuali che definiscono il volere comune, hanno deciso per una serie di ragioni di dimenticare la lezione della storia per sostituirla con pregiudizi e ideologie più convenienti”. In primo luogo dimenticando la massima keynesiana centrale: “E’ nel momento del boom, non della crisi, che serve l’austerità”. Krugman riflette che “purtroppo gli unici casi in cui gli stati mettono mano potentemente alla spesa è con le guerre”, evidenziando le correlazioni nel periodo 1929-1962 tra spesa per armamenti e crescita del pil americano. Infine cita le statistiche del Fondo monetario internazionale su 173 piani di austerità varati nel periodo 1978-2009, con risultato che le politiche di austerità al momento sbagliato “portano contrazione del pil e aumento della disoccupazione”. Prima del keynesismo, un po’ di sano empirismo.