L'India non guarda più a occidente e getta via il “capolavoro” di Bush

Matteo Matzuzzi

Test di missili balistici, contratti e traffico di petrolio con l’Iran, marò ancora in prigione. La posizione dure delle autorità indiane sul processo a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due militari del reggimento San Marco accusati di aver ucciso due pescatori il 15 febbraio scorso al largo delle coste del Kerala e ora detenuti in un carcere di Trivandrum, è solo un segnale tra gli altri di come l’India stia imboccando in politica estera una direzione diversa da quella sperata dall’occidente.

    Test di missili balistici, contratti e traffico di petrolio con l’Iran, marò ancora in prigione. La posizione dure delle autorità indiane sul processo a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due militari del reggimento San Marco accusati di aver ucciso due pescatori il 15 febbraio scorso al largo delle coste del Kerala e ora detenuti in un carcere di Trivandrum, è solo un segnale tra gli altri di come l’India stia imboccando in politica estera una direzione diversa da quella sperata dall’occidente. La volontà di imporsi con un atto di forza su una questione internazionale che coinvolge non più solo i rapporti bilaterali con l’Italia, ma anche quelli con l’Unione europea, conferma l’intenzione di Nuova Delhi di ritagliarsi un proprio spazio di manovra, allontanandosi dall’orbita americana. Sono lontani i tempi dell’accordo di cooperazione sul nucleare civile (dal valore di 100 miliardi di dollari) voluto dall’allora presidente George W. Bush ed entrato in vigore nell’ottobre del 2008 dopo tre anni di negoziati e incontri con il premier indiano Manmohan Singh. Gli Stati Uniti erano riusciti a coinvolgere Nuova Delhi nella lotta al terrorismo, stipulando accordi militari che avevano creato malumore in Pakistan, avamposto per la guerra in Afghanistan.

    Quattro anni dopo, l’India sembra aver messo in crisi quello che era stato definito “il capolavoro” della politica estera di Bush. A poco è servita sia la visita compiuta da Barack Obama a Nuova Delhi nel novembre del 2010, in occasione della quale il presidente americano parlò esplicitamente di “alleanza che orienterà il Ventunesimo secolo”, sia la promessa di appoggiare la battaglia indiana per un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Una conferma del mutamento di rotta si è avuta in occasione dell’ultimo vertice dei Brics tenutosi a Nuova Delhi il 29 marzo scorso. Il premier Singh ha contestato le politiche monetarie espansive adottate dal Fondo monetario internazionale, appoggiando la proposta di creare una nuova Banca sovranazionale e criticando la volontà di Washington di nominare un altro americano alla Banca mondiale dopo Robert Zoellick.La situazione è resa delicata dalla decisione del governo indiano di non aderire alle sanzioni imposte all’Iran dalla comunità internazionale e di proseguire l’interscambio di petrolio con Teheran. Nel primo trimestre del 2012, l’India ha importato 433 mila barili di greggio al giorno, superando la Cina (ferma a 256 mila barili) e divenendo il primo acquirente petrolifero dell’Iran. Un comportamento che ha spinto Washington a minacciare sanzioni nei confronti di Nuova Delhi se non si registrerà una riduzione degli scambi commerciali. Secondo alcuni funzionari del Tesoro americano interpellati da Bloomberg News, un piano di misure finanziarie contro  l’India potrebbe essere adottato all’inizio dell’estate.

    Anche sul fronte della crisi siriana la posizione di Singh diverge diametralmente da quella di Obama: “La sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale della Siria devono essere rispettate e la violenza deve cessare da entrambe le parti in conflitto”, si legge nel comunicato congiunto che ha chiuso il vertice trilaterale di Mosca cui hanno preso parte Russia, Cina e India lo scorso 13 aprile. La conseguenza naturale dell’allineamento di Nuova Delhi a Pechino, Mosca e Teheran è l’allentamento delle relazioni con Gerusalemme. Il governo indiano ha appena confiscato le garanzie bancarie delle Industrie militari israeliane (Imi) per un ammontare complessivo di 70 milioni di dollari in seguito alla presunta corruzione di alcuni funzionari dell’amministrazione pubblica indiana coinvolti nell’assegnazione degli appalti nel settore della Difesa. Nonostante l’Imi abbia presentato ricorso, chiedendo di essere depennata dalla lista nera, le autorità di Nuova Delhi hanno confermato l’interruzione di ogni cooperazione nel settore militare con Israele. Anche il viaggio in India di Yaacov Amidror, consigliere per la sicurezza nazionale del premier Benjamin Netanyahu, non ha risolto la crisi.

    L’India, che secondo i piani di Washington avrebbe dovuto bilanciare il peso crescente della Cina in oriente, pensa ormai in grande. Il lancio avvenuto ieri del missile balistico intercontinentale Agni-V, in grado di raggiungere obiettivi a oltre 5.000 chilometri di distanza, è il primo passo per entrare nel club esclusivo  dei paesi in possesso di missili a gittata intercontinentale. A poco sembra essere servito il monito di Pechino, che ha suggerito a Nuova Delhi di “non sopravvalutare la propria forza”.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.