Merah, eroe di questi tempi

Giulio Meotti

Caroline Glick, senior editor del quotidiano israeliano Jerusalem Post, ce lo spiega così: “Mohammed Merah non è un lupo solitario, aveva molti complici e alcuni non sono neppure musulmani. La reazione dell’occidente è stata quella della negazione”. Sulla strage di Tolosa è in corso un’operazione di dissimulazione che passa attraverso la costruzione di un grande equivoco.

Caroline Glick, senior editor del quotidiano israeliano Jerusalem Post, ce lo spiega così: “Mohammed Merah non è un lupo solitario, aveva molti complici e alcuni non sono neppure musulmani. La reazione dell’occidente è stata quella della negazione”.

  

Sulla strage di Tolosa è in corso un’operazione di dissimulazione che passa attraverso la costruzione di un grande equivoco. Un musulmano francese ha imbracciato un mitra e ha falciato tre paracadutisti, spiegando che “uccidere un soldato francese in Francia ha lo stesso impatto che uccidere dieci soldati francesi in Afghanistan”. Voleva far scorrere il sangue di chi combatte i suoi fratelli talebani a Kabul. Poi Merah ha ucciso un rabbino, i suoi due figli e un’altra ragazzina, nipote del rabbino capo del Marocco, di fronte a un noto istituto per lo studio della Torah.

   

Nelle ore che hanno preceduto l’irruzione delle unità di élite nel suo appartamento a Tolosa e lo scontro a fuoco che ha portato alla sua morte, giovedì scorso, Mohammed Merah ha dichiarato di non aver accettato una missione suicida di al Qaida perché voleva “restare in vita”, potendo moltiplicare gli attacchi che – come ha avuto modo di dire lui stesso – “hanno messo la Francia in ginocchio”. Merah non ha polverizzato il suo corpo per impartire la morte, ha voluto guardare le sue vittime negli occhi, le ha finite con un colpo alla testa, le ha filmate persino, le ha sterminate per quel che erano e sono: soldati ed ebrei. Simbolicamente, la salma di Merah sarà interrata in Algeria, terra islamica dove vive il padre, mentre le sue vittime ebree sono state già sepolte in Israele, un pegno che gli islamisti come Merah intendono spazzare via dalla carta geografica.
  
A conferma che Merah un’eccezione non lo era, sui siti internet islamisti si inneggia al “martirio del fratello Mohammed Merah”, definito “il terrorizzatore di Francia”. Scrive un commentatore: “Per ucciderlo la polizia ha dovuto sparare più di 300 pallottole”, mentre altri hanno ricordato che “l’assedio è durato più di 33 ore”. L’amministratore del forum el Shumukh ha scritto una preghiera in suo onore: “O Allah, accettalo in paradiso nei piani più alti tra i profeti, gli uomini pii e i martiri”.
  
Eppure una parte della stampa europea, dei suoi intellettuali blasonati e della sua classe dirigente sta cercando di fare di Merah un caso psichiatrico. Si dice che aveva divorziato due giorni prima della strage degli ebrei di Tolosa. Si dice che non aveva un lavoro. Si dice che “delirava” e che, come un qualunque serial killer, “provava piacere a uccidere”. Ieri abbiamo reso note le idee di Tariq Ramadan, che ha fatto di Merah un simbolo dell’alienazione sociale che cova nelle periferie francesi. I giornali francesi si sono costruiti una dicotomia confortante: “L’ignoble criminel, et la France raciste”. Merah sarà anche colpevole, ma la Francia è razzista e se l’è cercata. L’equivoco passa attraverso la costruzione di una paranoia. E’ facile perorare persino l’innocenza dell’attentatore parlando di una “situazione familiare problematica” o di una “condizione sociale poco invidiabile”. Se lo stragista è un “mostro”, le sue vittime sono cadute non in nome di un odio religioso e politico, ma dell’“orrore”, la parola più abusata e banalizzante nel caso Merah.

  

Ha scritto il filosofo francese André Glucksmann: “A poco a poco riaffiora il pregiudizio che i responsabili ufficiali siano responsabili di tutto: se la repressione avesse represso ‘in tempo’, se le autorità poliziesche, municipali, pedagogiche, psicologiche, mediche non avessero trascurato il caso di un ragazzo alla deriva, se i giovani dei quartieri difficili beneficiassero di cure intensive e di una sorveglianza continua, certo, c’è da giurarlo con la mano sul cuore, avventure così nauseabonde sarebbero bloccate sul nascere! E ognuno brandisce il proprio rimedio-miracolo – giuridico, sociologico o coercitivo – capace di proteggere la Francia dall’orrore”. E così la responsabilità si sposta, l’omicida non è più che un “ragazzo smarrito”, mentre si scopre che la Repubblica francese e le sue debolezze sono le fonti della strage. “Il carnefice è una vittima, le vittime sono carnefici. Soprattutto, non mettetevi in testa che un individuo di ventitré anni sia responsabile delle proprie azioni, l’omicida uccide solo perché prima è già stato ucciso spiritualmente, socialmente, psicologicamente; ucciso da una società razzista, non egualitaria, repressiva e così via. Che la Francia se la prenda con se stessa! Quando si uccidono i suoi soldati (due volte traditori perché di origine maghrebina), quando si assassinano a bruciapelo i suoi bambini (mille volte colpevoli perché ebrei), è colpa sua”. Secondo la leader del Front national candidata alle elezioni presidenziali di aprile in Francia, Marine Le Pen, il pericolo fondamentalista viene “volontariamente minimizzato dal potere” e “si cerca di chiudere la parentesi Merah sostenendo che si tratta di un’eccezione”. La minimizzazione dell’attentato ha dato il destro a chi, come Le Pen, non conosce mediazioni e dichiara una guerra all’immigrazione tout court.
  
Douglas Murray, commentatore per il Wall Street Journal e il Daily Telegraph, autore di saggi sull’Europa e direttore del Centre for Social Cohesion, è stato uno degli ispiratori intellettuali della svolta sul multiculturalismo del primo ministro inglese, David Cameron. Parlando al Foglio, Murray decifra l’operazione culturale in corso su Tolosa: “Quando all’inizio si pensava che l’attentatore fosse un neonazista, i media hanno subito costruito la figura del colpevole per eccellenza, tirando fuori persino fotografie con saluti fascisti e tatuaggi. C’è chi ha persino detto che veniva dalla destra, che era a vantaggio politico di Nicolas Sarkozy. Quando si è capito che l’assassino era un jihadista, è calato un gran silenzio sulla vicenda. E’ scattata l’operazione negazione. Allora la stampa si è inventata il ‘lupo solitario’”.

Secondo Murray, il fenomeno è ideologico e culturale. “E’ la malattia dell’occidente, una cecità ripetitiva di fronte a ciò che ci sta di fronte. E’ una totale mancanza di volontà nel comprendere il problema del multiculturalismo e dell’estremismo islamista che cresce nella nostra società. Alla fine, è il grande narcisismo che porta a pensare subito ‘siamo stati noi’. C’è una ostilità e una denigrazione ultra liberal verso la denuncia in Europa dell’islamismo, che viene bollata come ‘islamofobia’. Su Tolosa l’uso delle parole è stato decisivo per ammorbidire l’identità dell’attentatore. Hanno tentato di trovare delle scuse per il terrorismo islamico. Quando in Norvegia Breivik ha ucciso tutta quella gente, nonostante fosse già stato dichiarato pazzo, la stampa ha costruito ad arte delle associazioni con il pensiero anti islamista in occidente. Nel caso di Merah, si sono esercitati nella più banale psichiatria”. Secondo Murray, Tolosa ci riporta al fallimento dei modelli comunitaristi di integrazione: “Il multiculturalismo sponsorizzato dallo stato ha trattato le nazioni europee come fossero osterie. Ha ritenuto che lo stato non dovesse ‘imporre’ valori ai nuovi arrivati. Piuttosto, deve venire incontro alle richieste degli immigrati. Ne è risultata una politica per cui gli stati hanno trattato e giudicato le persone in base ai criteri di qualunque ‘comunità’ all’interno della quale queste si sono trovate a nascere. Il modello multiculturale sarebbe potuto andare avanti molto più a lungo se non fosse stato per l’islam radicale. Gli attentati e i complotti terroristici in Gran Bretagna e in Europa, a opera di estremisti cresciuti sul territorio nazionale, hanno condotto a un punto di rottura che poche persone dotate di senno possono ignorare”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.