Draghi di liquidità

Ecco come i banchieri centrali continuano a domare Lady Spread

Alberto Brambilla

Grazie agli interventi della Banca centrale europea lo spread si è calmato ancora ed è sceso fino a 293 punti, mai così in basso dallo scorso settembre, per poi chiudere a 301. Anche per questo, oltre che per il relativo successo dello “swap” sul debito greco con i creditori privati di Atene, le Borse hanno guadagnato per il secondo giorno consecutivo. Ma soprattutto i rialzi sono l’effetto delle operazioni di rifinanziamento della Bce, cui hanno aderito 800 banche, che mirano anche a stimolare il credito a famiglie e imprese.

    Grazie agli interventi della Banca centrale europea lo spread si è calmato ancora ed è sceso fino a 293 punti, mai così in basso dallo scorso settembre, per poi chiudere a 301. Anche per questo, oltre che per il relativo successo dello “swap” sul debito greco con i creditori privati di Atene, le Borse hanno guadagnato per il secondo giorno consecutivo. Ma soprattutto i rialzi sono l’effetto delle operazioni di rifinanziamento della Bce, cui hanno aderito 800 banche, che mirano anche a stimolare il credito a famiglie e imprese. L’ultima, da 529 miliardi, è stata lanciata la settimana scorsa, nonostante la contrarietà del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, e segue a ruota quella di dicembre da 489 miliardi. “L’impatto delle nuove misure non convenzionali è stato positivo” ma le stesse non saranno “eterne”, ha detto ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, nella conferenza stampa successiva al Consiglio direttivo che ha lasciato i tassi di interesse invariati al minimo storico dell’1 per cento e rivisto al ribasso le stime di crescita dell’Eurozona. Draghi, poi, ha lanciato un ultimatum ai governi, perché perseguano il consolidamento dei bilanci, e alle banche, perché garantiscano credito: “Non vogliamo sostituirci a loro se mancano capitali o non si fanno le riforme. Non è il nostro lavoro”.

    A preoccupare gli analisti è però il record raggiunto dagli asset nel bilancio della Bce, l’istituto più attivo nell’ultimo anno:  3.000 miliardi di euro di acquisti, più dei 2.900 miliardi della Federal Reserve. E avere accettato titoli di bassa qualità come collaterale, come quelli greci, a garanzia dei prestiti non lascia tutti tranquilli.
    Intanto la Fed, secondo il Wall Street Journal, sta pensando a un nuovo metodo d’acquisto di titoli ideato per contenere i timori di un aumento dell’inflazione. A differenza delle precedenti operazioni che prevedono l’immissione di liquidità, anche attraverso l’effettiva creazione di moneta, il nuovo approccio prevede sì l’acquisto di titoli di lungo termine, Treasuries e a garanzia sui mutui, ma mette in conto la loro vendita successiva entro un periodo definito. Il risultato è che l’aumento della liquidità è transitorio e non accentua l’inflazione.

    La Fed ha anche iniziato a dare suggerimenti indiretti all’Europa. Secondo uno studio della Fed di New York, la strategia di ridurre la spesa statale e aumentare le tasse, caposaldo dell’austerity, non porta a una riduzione del deficit bensì lo aumenta. La discriminante, che fa vacillare la teoria europea, è che le Banche centrali ormai hanno tassi molto bassi: “Una volta che i tassi di interesse arrivano a zero, o vicino – scrivono gli economisti americani – tagliare la spesa pubblica o aumentare le tasse incrementa anziché ridurre il deficit di bilancio”. I tagli portano a “una riduzione della crescita aggregata, al restringimento della base di tassazione e alla conseguente diminuzione delle entrate fiscali”, perciò “anche se lo stato al momento spende meno, il denaro che vuole reperire con le tasse diminuirà comunque”. Per recuperare terreno e stimolare la domanda favorendo i consumi, bisogna capire quali interventi governativi portano a questo obiettivo. “Abbiamo trovato – concludono gli economisti della Fed di New York – che ridurre il peso dello stato nel lungo periodo o diminuire la futura tassazione sul lavoro può fare ripartire la domanda nel breve termine”.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.