Nec panem nec circenses

Redazione

E’ certamente vero che il “no” del governo di Mario Monti alla candidatura di Roma per ospitare le Olimpiadi del 2020 pare una decisione “inevitabile”, come si sono affrettati a dire in molti, chi plaudendo alla scelta, chi criticandola. Il giudizio sulla scelta del governo non è semplice da dare. Non essersi avventurati in un terreno dai confini troppo vaghi farà dormire sonni più tranquilli ai politici e agli italiani ma lascia un dubbio, una domanda alla quale il governo ancora non ha risposto.

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    E’ certamente vero che il “no” del governo di Mario Monti alla candidatura di Roma per ospitare le Olimpiadi del 2020 pare una decisione “inevitabile”, come si sono affrettati a dire in molti, chi plaudendo alla scelta, chi criticandola. L’attuale congiuntura economica, la crisi da risolvere e la recessione da contrastare non sarebbero stati l’humus migliore in cui seminare innanzitutto 42 milioni di euro “al buio”, per la sola partecipazione alla gara con le altre città candidate (Tokyo, Madrid, Istanbul, Doha e Baku), e successivi altri miliardi nel caso in cui il Cio avesse scelto Roma.

    Il precedente di Atene avrà fatto affacciare in Consiglio dei ministri lo spettro del fallimento dei greci, che ancora adesso pagano i costi dei Giochi del 2004, e probabilmente non è bastato l’esempio positivo delle Olimpiadi invernali di Torino 2006, occasione di crescita e rilancio della città sabauda in tutto il mondo: il successo di quell’evento è lì a testimoniare che in Italia ci sono ottime capacità organizzative, e che la tesi leghista del “magna magna” è, fino a prova contraria, un luogo comune. Ma dal 2006 a oggi “il mondo è cambiato”, come ha detto Evelina Christillin, tra gli organizzatori dei Giochi piemontesi, e rispetto a un tempo molti privati sono meno propensi a investire denaro in progetti non certi. Che le Olimpiadi a Roma sarebbero state una grande occasione di crescita e lavoro è indubbio, anche se certi chiaroscuri nella gestione di alcuni eventi recenti (si pensi ai Mondiali di nuoto del 2009) non sono stati la migliore pubblicità, soprattutto agli occhi dell’opinione pubblica, per ottenere la titolarità di un appuntamento che muoverà miliardi per anni.

    Il giudizio sulla scelta del governo non è semplice da dare, e non può essere o bianco o nero, o “bene” o “male”. Non essersi avventurati in un terreno dai confini troppo vaghi farà dormire sonni più tranquilli ai politici e agli italiani, ma il tipo di scelta fatta, rinunciare, lascia il sapore di un palliativo. Resta infatti un dubbio, una domanda alla quale il governo ancora non ha risposto: come si fa a rimettere in moto un paese a colpi di rinunce? Sicuri che i “no” siano il carburante migliore per rilanciare l’Italia? Il 2020 sarebbe arrivato comunque tra otto anni.

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