Così gli aristocratici hanno rilanciato il molto sinistro Libé

Michele Masneri

Libération è vivo e lotta insieme a noi. Il giornale della sinistra francese, fondato da Jean-Paul Sartre nel 1973, ha diramato giovedì scorso i dati annuali di bilancio che mostrano cifre sorprendenti: intanto, per il secondo anno consecutivo, la società è in attivo. Non di molto, circa trentamila euro, ma è pur sempre un risultato sorprendente nel panorama decotto della stampa francese. Poi la diffusione, aumentata del 5,35 per cento

    Libération è vivo e lotta insieme a noi. Il giornale della sinistra francese, fondato da Jean-Paul Sartre nel 1973, ha diramato giovedì scorso i dati annuali di bilancio che mostrano cifre sorprendenti: intanto, per il secondo anno consecutivo, la società è in attivo. Non di molto, circa trentamila euro, ma è pur sempre un risultato sorprendente nel panorama decotto della stampa francese. Poi la diffusione, aumentata del 5,35 per cento. Meglio ancora vanno gli abbonamenti, saliti del 21,77 per cento, e la parte Web, con 9 mila abbonamenti on line, un aumento della pubblicità del 30 per cento e una quota del 3,86 per cento di lettori ormai solo virtuali. Internet è il settore su cui si è puntato di più, grazie a una politica di contenuti ma anche di marketing aggressivo: per esempio, un abbonamento on line di prova da solo 1 euro al mese. Ma anche in edicola il giornale va bene, vende 119 mila copie al giorno, un piccolo miracolo in Francia dove la scorsa settimana è scomparso dalle edicole France Soir, il popolare giornale della sera, che un tempo vendeva più di un milione di copie. Anche la storica testata economica la Tribune è stata smantellata: restano un sito internet e un settimanale, e un terzo dei dipendenti.

    Alcuni fattori di successo di Libé sono stati: il caso Strauss-Kahn, seguito in Francia come una telenovela, l’attenzione all’economia, tema al quale il quotidiano di rue Beranger sta pensando di dedicare un nuovo supplemento; poi le prime pagine molto grafiche e “a effetto” come quella dedicata alla morte di Steve Jobs, con la mela “in lacrime”, in bianco e nero, che ha fatto il giro del mondo. Ma soprattutto a spingere le vendite di Libé è stata la crisi del Monde, lo storico quotidiano socialista, che  di recente non è arrivato in edicola per alcuni giorni a causa della lotta in atto tra la nuova proprietà guidata da Xavier Niel, enfant prodige delle tlc, e gli agguerriti sindacati dei poligrafici. Lotta che è andata a tutto vantaggio proprio di Libé, che ha monopolizzato i lettori di sinistra grazie a una copertura estensiva delle primarie del Ps.

    Libé sembra poi beneficiare di una variegata pattuglia di salvatori che ha dato carta bianca al nuovo direttore, il quarantenne Nicolas Demorand: il giornale, che a dicembre 2009 registrava ancora un passivo di 51 milioni di euro, ha visto l’ingresso nell’azionariato di Carlo Caracciolo e Edouard de Rothschild, mentre al vertice del consiglio di sorveglianza è andata Anne Lauvergeon, colonna dell’establishment francese, per anni numero uno del colosso del nucleare Areva e prima ancora consigliere diplomatico di Mitterrand. L’arrivo più recente è poi quello di Bruno Ledoux, immobiliarista in forte ascesa, che con la sua Foncière Colbert, da proprietario dei locali del giornale nel terzo arrondissement è passato al ruolo di azionista: nel 2010 è entrato nel capitale della holding di controllo del quotidiano, Refondation, con il 26 per cento, la stessa quota di Rothschild (mentre il resto dell’azionariato vede un 22 per cento nelle mani degli eredi Caracciolo, e quote minori a personaggi dell’intellighenzia come Pierre Bergé, o l’editore del Secolo XIX Carlo Perrone).

    Nouveaux riches e aristocratici, tutti per tentare di salvare la stampa francese (lo stesso Bergé siede nell’azionariato del Monde, mentre l’oligarca russo Alexander Pugachev è entrato, ma senza successo finora, a France Soir): il problema, ha detto lo storico dei media Patrick Eveno, è che “in Francia non esistono veri gruppi editoriali. Solo dei mecenati interessati all’influenza che possono ottenere dalla stampa, pur perdendoci dei soldi”. Con qualche eccezione, forse.