Gli anni Sessanta come antidoto alla crisi

Federico Tarquini

Al cinema e in tv le decadi, pur non essendo dei veri generi, rappresentano una preziosa fonte d’ispirazione. Nell’uso comune si giustifica questo ciclico riemergere di stili e storie del passato affermando semplicemente che “tornano di moda”. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un massiccio ritorno degli anni Sessanta dentro i confini del piccolo schermo (ma tranquilli, non parleremo di Carlo Conti e dei "Migliori anni").

    Al cinema e in tv le decadi, pur non essendo dei veri generi, rappresentano una preziosa fonte d’ispirazione. Nell’uso comune si giustifica questo ciclico riemergere di stili e storie del passato affermando semplicemente che “tornano di moda”. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un massiccio ritorno degli anni Sessanta dentro i confini del piccolo schermo (ma tranquilli, non parleremo di Carlo Conti e dei "Migliori anni").

    Con particolare interesse e attenzione, sono state le serie televisive a ridare vita allo stile raffinato e pulito di quegli anni. "Mad Men" ovviamente, ma anche i più recenti "The Kennedys" e "Pan Am", forse ci dicono qualcosa di più complesso rispetto al semplice revival, o peggio ancora al temibile tormentone, con cui si tende etichettare certi eccellenti prodotti della serialità televisiva. Con certi racconti, così popolari e popolati di grandi uomini e avvenimenti, è come se la tv volesse fare luce su un tempo fondamentale per la sua evoluzione. Una stagione in cui “le comunicazioni di massa” viaggiavano su livelli quantitativamente elevati, occupando con le proprie simbologie l’immaginario che circondava la diffusione crescente del benessere e dei consumi. Ecco perché sui nostri schermi rispuntano sigarette e drink in posti in cui oggi varrebbero una giusta causa per il licenziamento, riaffermando un piacevole maschilismo che, paradosso dei paradossi, sembra far breccia soprattutto nel pubblico femminile. Donald Draper è sicuramente un fico, ma lo vorreste come marito?

    Oggi che, in presenza di telecamere, non si può fumare neanche in un campo di calcio, assistere alle scene che ci consegnano questi serial ha l’agrodolce sapore del rimpianto. Probabilmente perché certe licenze non ci sono più consentite, o perché se in quegli anni si fosse spinto meno sull’acceleratore qualche free drink in ufficio sarebbe arrivato anche a noi. Così, alcool, sigarette e sesso libero misto a maschilismo diffuso, assumono l’altezza simbolica di icone di un’intera decade, conferendole di conseguenza un tono spensierato e leggero. Ovviamente non è andata proprio così, i Sessanta sono stati anche molto altro, ma il punto da tenere presente non è questo. Citando solo parte di quegli anni non si ambisce a una ricostruzione realistica dei fatti, né tantomeno lo si fa per dargli semplicemente lustro. E allora perché i Sessanta?

    La scarsa fiducia che riponiamo nei confronti di questi tempi di crisi, inevitabilmente ci spinge a desiderare qualcosa di opposto agli indici della borsa, allo spread e alla serpeggiante etica della sobrietà e del sacrificio. Così, pensando al nostro presente, non possiamo che sognare qualcosa di diverso, finendo per desiderare storie e simboli di un passato felice che oggi sentiamo di non possedere più. In questo modo possiamo capire il successo che raccolgono le serie televisive ispirate al boom economico. Il proporre al pubblico ciò che in questo momento non ha, stimolando così la sua attitudine a desiderare, sortisce l’effetto di rendere il passato raccontato da queste serie tremendamente attuale, giacché è esso ad essere, ora, l’oggetto del desiderio.