Così il Web ha sconfitto la vecchia dittatura dei fatti separati dalle opinioni

Marco Pedersini

Abbiamo sempre pensato alla conoscenza come a un setaccio o, come preferisce Russell Ackoff, teorico dei sistemi organizzativi, a una piramide con i dati alla base e poi, salendo, le informazioni, la conoscenza e, al vertice, la saggezza. Ma poi, con Internet, i dati da maneggiare sono diventati troppi, mai del tutto assestati in uno stato che si possa dire definitivo.

    Abbiamo sempre pensato alla conoscenza come a un setaccio o, come preferisce Russell Ackoff, teorico dei sistemi organizzativi, a una piramide con i dati alla base e poi, salendo, le informazioni, la conoscenza e, al vertice, la saggezza. Ma poi, con Internet, i dati da maneggiare sono diventati troppi, mai del tutto assestati in uno stato che si possa dire definitivo. “In fondo abbiamo sempre saputo che c’erano molte cose in più al mondo rispetto a quelle che potevano entrare nelle nostre librerie o essere raccontate dai media – dice David Weinberger, studioso di Harvard e autore di “Too Big to Know: Rethinking Knowledge Now That the Facts Aren’t the Facts, Experts Are Everywhere, and the Smartest Person in the Room Is the Room” (Basic Books, 2012) – Sapevamo che i settori in cui dividiamo la conoscenza per poterla gestire non erano poi così separati come la divisione dei nostri scaffali lasciava a intendere. La mia generazione ha pensato alla conoscenza come a una serie ristretta di contenuti affidabili, come fosse una libreria. Le nuove generazioni stanno guardando alla conoscenza in un modo molto più vicino alla sua natura: è una rete di discussioni e ragionamenti che non si blocca mai. Pensavamo che la nostra conoscenza fosse limitata, quando in effetti lo erano soltanto i nostri scaffali”.

    Per Weinberger, l’era della conoscenza come libro è finita: è ora di parlarne come una stanza. La novità, però, non è nelle dimensioni – se siamo in tanti, la somma delle nostre intelligenze supera quella della persona più brillante tra noi – ma nella natura e nella forma che la conoscenza sta prendendo. Per spiegarle, Weinberger prende l’esempio di una conferenza: “Se la conoscenza viene distribuita in una rete, la persona più intelligente della stanza non è quella che sta parlando e nemmeno la saggezza complessiva del pubblico in sala. La persona più intelligente in quella stanza è la stanza stessa: la rete che collega le persone e le idee al suo interno. Non è che le reti stiano diventando delle sorte di supercervelli con una coscienza propria. E’, piuttosto, che la conoscenza sta diventando sempre più inscindibile dalle reti che la abilitano”. In questa evoluzione, c’è un compito delicato da giocare: la stanza va costruita bene. Perché in assenza di reti intelligenti (delle “smart room”, nella lezione di Weinberger) non ci restano che network che ci rendono incredibilmente sempre più stupidi – è la tesi di Nicholas Carr in “The Shallows” (W. W. Norton & Company, 2010), espansione del provocatorio “Google ci sta facendo rincretinire?”, scritto per l’Atlantic.

    Una “stanza” costruita male, ad esempio, può finire per assecondare quella tendenza per la quale, di fronte a una scelta illimitata, spesso si sceglie di leggere ciò con cui si è già d’accordo, innescando il gioco di specchi che Cass Sunstein, accademico di Harvard prestato all’Amministrazione Obama, chiama “la camera dell’eco”. La colpa, però, non può essere della stanza: “Se non stiamo leggendo cose che contano, il problema è nostro – ha detto Weinberger al magazine Salon – Prendiamo i casi di siti come Buzzfeed o Reddit, che aggregano pagine internet in base all’interesse degli utenti. Beh, ne viene fuori che siamo interessati a molte cose, molte delle quali non poi così serie (di fatto sono quasi soltanto fatti o notizie divertenti o scioccanti). La sfida resta quella di educare i nostri interessi, che poi, in fondo, è il vero compito dell’educazione”.

    Avere un medium “largo quanto la curiosità”, come ha detto Weinberger all’Atlantic, ha anche un effetto inaspettato: l’obiettività più asettica è diventata pressoché inutile. Serviva quando ci si informava con la carta stampata e “il reporter era il mediatore del mondo che sarebbe arrivato al lettore, perciò doveva cercare di limitare al massimo il suo punto di vista per restituire tutti gli aspetti di quello che stava riportando. Era costretto puntare a quell’innaturale ‘sguardo da nessun luogo’ di cui parlava il filosofo Thomas Nagel. Possiamo vedere le cose soltanto partendo da un punto di vista e possiamo capirle solo se le collochiamo in un contesto preesistente, però la natura stessa del medium, la carta stampata, imponeva l’obiettività. Il lettore, infatti, se doveva controllare quello che trovava scritto, doveva posare il giornale, andare nella biblioteca più vicina e mettersi a incrociare dei testi, sperando di trovarli”. Ormai, per Weinberger, la dittatura deontologica dei fatti separati dalle opinioni è diventata anacronistica perché “un lavoro, oggi, è decisamente più credibile se l’autore non nasconde il suo punto di vista. In questo senso si può dire che la trasparenza rispetto alle proprie opinioni è diventata la nuova obiettività”. Finalmente si può dire che “non possiamo ricevere una informazione che non sia mediata da un punto di vista e, qualora potessimo farlo, non avremmo comunque un’idea di  cosa staremmo guardando”.