La prova dell'Iowa

I repubblicani alla ricerca di un anti Obama credibile

Matteo Matzuzzi

Con il caucus repubblicano dell'Iowa di domani, si apre la lunga maratona elettorale che porterà il 30 agosto, a Tampa, all'incoronazione dell'uomo (o della donna) che sfiderà Barack Obama alle presidenziali del 6 novembre. Favorito d'obbligo è l'ex governatore del Massachusetts Mitt Romney, mormone ricchissimo che già tentò quattro anni fa la scalata alla Casa Bianca. Romney è il più presentabile tra i contendenti di un Grand Old Party stretto tra Michelle Bachmann che si crede la Thatcher, il pizzaiolo Herman Cain, il redivivo Newt Gingrich, l'illuminato Rick Santorum e il sempiterno Ron Paul.

    Con il caucus repubblicano dell'Iowa di domani, si apre la lunga maratona elettorale che porterà il 30 agosto, a Tampa, all'incoronazione dell'uomo (o della donna) che sfiderà Barack Obama alle presidenziali del 6 novembre. Favorito d'obbligo è l'ex governatore del Massachusetts Mitt Romney, mormone ricchissimo che già tentò quattro anni fa la scalata alla Casa Bianca. Romney è il più presentabile tra i contendenti di un Grand Old Party stretto tra Michelle Bachmann che si crede la Thatcher, il pizzaiolo Herman Cain, il redivivo Newt Gingrich, l'illuminato Rick Santorum e il sempiterno Ron Paul. Non a caso, Romney è ormai considerato "l'uomo inevitabile", anche se, come scriveva il Foglio qui, lui sa benissimo di essere "l'uomo di latta" al quale manca un cuore caldo e pulsante. Vincere in Iowa, benché non decisivo per la nomination finale (nel 2008 tra i repubblicani Huckabee diede nove punti di distacco proprio a Romney), riporta all’inizio del “yes, we can” obamiano che proprio sotto la neve di Des Moines nel 2008 sorprese tutti piazzandosi davanti sia a Edwards che alla favoritissima Hillary Clinton.

    La gente si entusiasmava, guardava a quel giovane senatore dell’Illinois come a una speranza per il cambiamento. Oggi, alla vigilia del caucus conservatore, dopo aver dato un’occhiata ai contendenti in campo, prevale la disperazione. Ci si chiede se non possa saltar fuori dal cilindro (magari all’ultimo) il coniglio giusto: c’è chi spera ancora in Christie (che però ha più volte detto di appoggiare Romney), chi in Jeb Bush e chi già vede in Marco Rubio il perfetto candidato da contrapporre a Obama considerata la sua giovane età, l’invidiabile capacità oratoria e una storia personale che sembra fatta apposta per far breccia nel sempre più decisivo elettorato ispanico. Oggi, però, partecipano alla corsa cavalli azzoppati, noiosi e deboli: non a caso, dal giugno scorso i sondaggi hanno premiato un po’ tutti a fasi alterne, dalla Bachmann a Rick Perry prima che si autoaffondasse a suon di gaffe, da Cain a Gingrich fino a Paul. E’ la dimostrazione lampante della debolezza di una compagine smarrita, che non sa trovare l’uomo giusto. Probabilmente, come scrive l’Economist, il candidato perfetto non esiste: servirebbe l’ottimistmo di Reagan, l’oratoria di Lincoln, la durezza paliniana e perfino il cervello di Nixon.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.