Tutte le carte nelle mani del Cav.

Salvatore Merlo

Fort Apache è la presidenza della Repubblica, e mai come in queste ore il Quirinale è “il” Palazzo della politica italiana, il posto dove si decide. Giorgio Napolitano tiene il punto, a Mario Monti non c'è alternativa, ma i telefoni del Quirinale non smettono di squillare e gli ambasciatori della politica fanno la spola con il castello berlusconiano perché c'è un problema: il Cavaliere non è così sicuro di voler appoggiare il governo del presidente.

    Fort Apache è la presidenza della Repubblica, e mai come in queste ore il Quirinale è “il” Palazzo della politica italiana, il posto dove si decide. Giorgio Napolitano tiene il punto, a Mario Monti non c'è alternativa, ma i telefoni del Quirinale non smettono di squillare e gli ambasciatori della politica fanno la spola con il castello berlusconiano perché c'è un problema: il Cavaliere non è così sicuro di voler appoggiare il governo del presidente. A Palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi resiste alla maggioranza dei suoi dirigenti che il governo di Monti lo voterebbero: avanza, prende tempo, rincula, annuisce e poi rilancia in una serie infinita di riunioni che continuano fino a tarda sera e che questo giornale ha potuto seguire solo fino alle ventuno.

    La confusione nel Pdl, e nella Lega, è oltre i limiti di guardia. Scortato da Ignazio La Russa e pochi altri, il presidente del Consiglio trova nel nome di Lamberto Dini un possibile candidato da proporre a Napolitano, e per qualche ora si discute se sia meglio presentare Dini o Angelino Alfano. “Potremmo fare un nuovo governo sostituendo soltanto Tremonti”, ha detto il Cavaliere prima che, nel caos, venisse avanzata persino l'ipotesi di un mandato esplorativo a Gianni Letta. Il gran ciambellano del berlusconismo dovrebbe stabilire le regole di ingaggio del governo Monti, che per il Pdl dovrebbero essere: rispetto assoluto della lettera Bce, nessuna riforma elettorale, garanzie sui ministri tecnici. Questo mentre Franco Frattini, che con Napolitano ha un rapporto consolidato, e delle inclinazioni del capo dello stato talvolta si fa persino interprete, scuote la testa: il Quirinale non chiede di proporre un nome, vuole solo sapere se Monti ci va bene o no. E la risposta del Cavaliere è un “sì”, ma è anche un “no” che Berlusconi fa tuttavia sempre pronunciare a qualcun altro, si chiami questo Gianfranco Rotondi, ministro per l'Attuazione del programma, o Daniela Santanchè, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

    Oggi Silvio Berlusconi si dimetterà, dopo aver votato e approvato il maxiemendamento anticrisi alla Camera. Il premier dimissionario ha un discorso europeista e battagliero nel cassetto da pronunciare nel giorno del suo passo indietro: la soluzione della crisi finanziaria internazionale è nella maggiore integrazione europea, nei poteri della Bce e nella crescita economica. Le dimissioni saranno formalizzate nel corso di un Consiglio dei ministri, poi al Quirinale. E sarà lì che Berlusconi si troverà di fronte un sensibilissimo Giorgio Napolitano, che è diventato il terminale della politica italiana e dei contatti internazionali (gli telefona Obama, poi Sarkozy) e che ieri per tutto il giorno ha raccolto con un po' di fastidio le “voci” su Dini e Alfano che gli venivano riferite dagli ambienti vicini al Cavaliere. Il sospetto che davvero Berlusconi punti alle urne si fa sempre più forte, malgrado Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, nel giorno in cui anche Antonio Di Pietro annuncia a sorpresa che sosterrà Monti, siano invece convinti che il premier stia semplicemente tirando la corda per condizionare l'agenda del nuovo governo, per blindare almeno un ministero, quello della Giustizia (e su questo argomento esiste una vasta letteratura cronachistica, più o meno fantasiosa, sull'attivismo e sugli incontri istituzionali degli avvocati del premier negli ultimi giorni).

    Mentre il Cavaliere prende tempo, e le forze di opposizione aprono all'ipotesi di un sostegno esterno all'ipotetico esecutivo guidato dal professor Monti, Napolitano va avanti e accelera per forzare la flemma di Berlusconi: chiede una risposta al Cavaliere prima delle sue dimissioni, che arriveranno oggi nel tardo pomeriggio. Il capo dello stato intende avere un nuovo presidente del Consiglio entro domenica sera da poter presentare lunedì ai mercati che riaprono. La fiducia si voterebbe lunedì. Dunque va avanti, parallelo alla confusione interna al centrodestra, anche il lavorio intorno alla composizione del nuovo governo. I ministri del Pdl, mentre trattano con il Cavaliere e con gli irriducibili sostenitori del “voto subito”, negoziano anche con il Pd, l'Udc e ovviamente il presidente della Repubblica. Si tratta di un caos parallelo a quello che investe il partito berlusconiano. Si è a lungo discusso intorno alle figure dei vicepremier, che dovrebbero essere – nelle intenzioni del Quirinale e di Monti – gli unici politici assieme ai sottosegretari. Ma nel Pd avanzano dubbi su Gianni Letta vicepremier, e nel Pdl hanno risposto ponendo un veto su Giuliano Amato. Anche il superministero dell'Economia è un incarico problematico, si parla di Fabrizio Saccomanni, ma non si esclude che Monti possa invece voler coprire lui anche questo incarico con un interim che ne rafforzerebbe ulteriormente la capacità di azione.
     

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.