Napolitano fissa il calendario di un'uscita maggioritaria dalla crisi

Salvatore Merlo

La scelta di Silvio Berlusconi ha mandato letteralmente nel panico il Pd e Pier Ferdinando Casini, ma anche la corte berlusconiana. Concordando tutto con il capo dello stato, il Cavaliere ha deciso di dimettersi ma solo dopo aver approvato la legge di stabilità e il maxiemendamento anticrisi: lancerà un messaggio alle opposizioni, parlerà alle Camere, cercherà una larga maggioranza e poi lascerà l'incarico.

    La scelta di Silvio Berlusconi ha mandato letteralmente nel panico il Pd e Pier Ferdinando Casini, ma anche la corte berlusconiana. Concordando tutto con il capo dello stato, il Cavaliere ha deciso di dimettersi ma solo dopo aver approvato la legge di stabilità e il maxiemendamento anticrisi: lancerà un messaggio alle opposizioni, parlerà alle Camere, cercherà una larga maggioranza e poi lascerà l'incarico.

    Giorgio Napolitano ha condiviso, precisando che le sue prerogative prevedono un giro di consultazioni dopo le dimissioni del presidente del Consiglio. Berlusconi ha sorriso, “ci mancherebbe”. Il premier sa che un'altra maggioranza non si troverà con lui piantato come un chiodo nel mezzo del Palazzo: “Dopo di me vedo solo il voto”.  Gli uomini del Cavaliere, quasi tutti, assieme alla Lega ormai trainata da Roberto Maroni, insistevano per un “passo di lato”: lo scettro ad Angelino Alfano. Secondo i ragionamenti condivisi da Franco Frattini, Maroni e Raffaele Fitto, ma sostanzialmente anche da tutti gli altri, capigruppo e vicecapigruppo compresi, la scelta di Alfano avrebbe permesso subito di recuperare gli scontenti à la Giorgio Stracquadanio, consentendo al governo di resistere ancora per un po' e tentare così di avvicinare e blandire Pier Ferdinando Casini.

    Maroni ha sempre guardato a questa ipotesi come un tentativo propedeutico comunque al voto, ma nel Pdl si sono invece coltivate singolari speranze sulla possibilità di spaccare il Terzo polo. Un'opzione di cui, tuttavia, nelle stanze dell Udc sorridevano: “Non è importante il nome, ma l'autorevolezza di una soluzione alla Mario Monti”, diceva Ferdinando Adornato. Negli ultimi giorni i contatti con Casini li ha tenuti Raffaele Fitto, mentore politico di Gabriella Carlucci (passata all'Udc) e di Luigi Vitali, il deputato che ieri ha chiesto le dimissioni di Berlusconi spiegando che “la maggioranza si è fermata a quota 308 e di fronte a questi numeri ci sono atti consequenziali da adottare nell'interesse del paese”. Telefonate, incontri, chiacchierate alla Camera, Fitto e Casini hanno fatto coppia fissa per giorni. Il dubbio, nel Pdl, è che non fosse Fitto a lavorare per portare Casini nel centrodestra, ma viceversa.

    Circondato da una corte e da un alleato (la Lega) gonfi di sfiducia sulle reali possibilità di gestire la transizione dopo la certificazione che la maggioranza non è più tale alla Camera (308 voti), nel corso del pomeriggio Silvio Berlusconi ha passato in rassegna tutte le ipotesi possibili. I suoi uomini, e Umberto Bossi, lo hanno fino all'ultimo spinto per presentarsi al Quirinale con l'ipotesi di una staffetta che avrebbe dovuto incoronare Angelino Alfano premier. Sullo sfondo la (molto) remota possibilità, che lo stesso Alfano ha coltivato negli ultimi giorni, di raggiungere un accordo con Pier Ferdinando Casini, obiettivo minimo: l'appoggio esterno dell'Udc.

    Su questa linea ha spinto particolarmente Raffaele Fitto, il quale da almeno tre giorni ha tenuto strettissimi contatti con Casini e con il gruppo dirigente del partito centrista, tanto che gli stessi ambienti dell'Udc – tra domenica e lunedì – arrivavano a suggerire il sospetto che la deputata Gabriella Carlucci (passata dal Pdl all'Udc) avesse maturato questa decisione perché “mi ha autorizzato Raffaele” e non per la singolare spiegazione che si è dato il Cavaliere (“le hanno negato l'ufficio a via dell'Umiltà”).
    Berlusconi, con l'annuncio delle sue prossime dimissioni collegate all'approvazione dei provvedimenti anticrisi, ha sorpreso tutti, e forse anche il Quirinale, che si preparava a un incontro non facile e dai toni severi. Giorgio Napolitano aveva già pronto un messaggio da inviare al suo interlocutore, una serie di indicazioni abbastanza perentorie che sarebbero suonate più o meno così: “Non possiamo permetterci di perdere altro tempo in questa delicatissima fase della crisi finanziaria, non è opportuno che il governo chieda la fiducia al Senato, dove sarebbe quasi scontata, piuttosto il governo deve presentarsi subito alla Camera e chiedere lì il voto. Non intendo perdere un'altra settimana lasciando il paese esposto sui mercati”. D'altra parte le notizie dall'Europa, di cui il Quirinale è stato avvertito, non sono confortanti: l'Unione chiede al governo Berlusconi di intervenire nuovamente sui conti e sul pareggio di bilancio.

    Ma ieri Napolitano non ha avuto bisogno di fare il muso duro, né di pronunciare di fronte a Berlusconi il discorso che si era preparato. Il presidente della Repubblica è rimasto favorevolmente sorpreso, Berlusconi gli ha garantito un maxiemendamento – a Palazzo Chigi dicono sia in mano a uno strano binomio Gianni Letta-Giulio Tremonti – pieno di buon senso e che recepisca per intero le indicazioni dell'Europa. Napolitano, va da sé, avrà un ruolo di persuasione morale nei confronti delle opposizioni, anche se è prevedibile già lo smarcamento tattico dell'Idv di Antonio Di Pietro. Il Quirinale ieri ha anche diramato una nota formale che per il presidente del Consiglio vale come un autorevole sigillo sull'intera operazione. Le opposizioni sono rimaste spiazzate, l'annunciata mozione di sfiducia al governo periclita vistosamente e ieri sera sembrava anzi letteralmente cancellata dalle parole del capo dello stato.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.