Ma conviene a Berlusconi farsi travolgere da una sicura sconfitta elettorale?

Alessandro Campi

Far approvare in Parlamento il programma di risanamento proposto (imposto?) dall'Europa, dimettersi un minuto dopo e chiedere al Capo dello stato di andare al voto anticipato (già a gennaio). Il programma tracciato da Giuliano Ferrara, che consentirebbe al Cavaliere di salvare politicamente la faccia, di operare nel nome dell'interesse generale e di non farsi ingabbiare da soluzioni parlamentari nel segno della vecchia politica (tipo governo tecnico o di unità nazionale), per quanto generoso e all'apparenza razionale è esattamente ciò che non serve all'Italia e, aggiungo, allo stesso Berlusconi.

    Far approvare in Parlamento il programma di risanamento proposto (imposto?) dall'Europa, dimettersi un minuto dopo e chiedere al Capo dello stato di andare al voto anticipato (già a gennaio). Il programma tracciato da Giuliano Ferrara, che consentirebbe al Cavaliere di salvare politicamente la faccia, di operare nel nome dell'interesse generale e di non farsi ingabbiare da soluzioni parlamentari nel segno della vecchia politica (tipo governo tecnico o di unità nazionale), per quanto generoso e all'apparenza razionale è esattamente ciò che non serve all'Italia e, aggiungo, allo stesso Berlusconi.

    Dopo i malumori che ha seminato tra i suoi stessi elettori, grazie alla politica del “non fare” (sempre imputata come colpa ai suoi alleati e mai ai suoi tentennamenti) il Cavaliere perderebbe le elezioni rovinosamente. Gli conviene essere travolto da un'onda elettorale? Certo, sarebbe ancora lui il candidato alla premiership (figuriamoci se, in questo clima, molla il posto ad Alfano) e avrebbe altresì il vantaggio, votandosi con l'attuale legge elettorale, di potersi scegliere i parlamentari uno per uno. Sarebbe altresì salvo – questione che a Ferrara preme moltissimo – lo spirito della democrazia maggioritaria che Berlusconi ha importato nel paese.

    Ma si fa fatica a immaginarlo, per i successivi cinque anni, come capo dell'opposizione, a meno di non sperare che i vincitori, per le troppe divisioni interne e magari per l'esiguità dei numeri ottenuti alle urne, finiscano per dissolversi anzitempo. Il centrodestra ha bisogno, al punto di disgregazione cui è arrivato, di essere rifondato dall'interno, non di perpetuare una leadership che ha fatto il suo tempo. Ma quale che sia la sua personale convenienza è all'Italia che la soluzione del voto anticipato non serve, sempre ammesso che le sue condizioni finanziarie siano per davvero disastrose come ci vengono descritte. Se siamo in emergenza bisogna operare di conseguenza, serrando le fila e salvando ciò che resta del nostro spirito unitario.

    Occorre perciò un governo di fine legislatura, guidato non da un tecnico alla Monti (che al massimo potrebbe essere un buon ministro dell'Economia) ma da un politico di lungo corso, che goda di buona considerazione all'estero e che non abbia, soprattutto, velleità di carriera. Un tale esecutivo andrebbe sostenuto da un'ampia base parlamentare (Pd e Pdl in primis) e dovrebbe occuparsi essenzialmente di due cose: rimettere a posto i conti (facendo riguadagnare al paese un minimo di considerazione internazionale) e mettere mano a una nuova legge elettorale (che consenta ai due schieramenti, quando questa difficile congiuntura sarà superata, di misurarsi nuovamente dinnanzi agli elettori, avendo nel frattempo definito i propri assetti interni, un più coerente sistema di alleanze e una seria proposta di governo).

    “L'Italia è il paese che amo…”, etc. etc. Fedele a questo storico incipit, che nel 1994 sancì la sua travolgente discesa in campo, Berlusconi si sarebbe dovuto dimettere già durante il fine settimana. Il che gli avrebbe consentito di darsi un contegno da statista, dopo il tanto fango che si è tirato addosso, e di mantenere un ruolo attivo nella gestione della crisi. Invece cadrà a seguito di un voto contrario in aula: perderà così ogni spazio di manovra e un bel pezzo dei suoi parlamentari, senza nemmeno la certezza, costituzione e prassi alla mano, di potersi affidare a breve al giudizio del popolo sovrano. Se oltre all'orgoglio gli sono rimasti un po' di buon senso e un qualche fiuto politico, che corra al Colle!