Non senza Cav.

Letta, Schifani o Monti? Il gran ballo di corte sul governo che non c'è

Salvatore Merlo

Un governo Letta, Casini o Schifani? “Ma no, suvvia, non esiste”, dice Ferdinando Adornato, che da ex uomo di Forza Italia conosce benissimo i meccanismi della corte berlusconiana – e dunque un po' sorride delle paure che ancora oggi la soffocano, cose del tipo: “Oddio stasera il presidente potrebbe dimettersi” – ma che pure, da dirigente dell'Udc, coltiva legittime speranze da oppositore politico, e dunque forse si abbandona anche lui un po' alla fantasia: “Vedrete che si farà un governo Maroni”.

Leggi Ahi, e se tocca a noi?

    Un governo Letta, Casini o Schifani? “Ma no, suvvia, non esiste”, dice Ferdinando Adornato, che da ex uomo di Forza Italia conosce benissimo i meccanismi della corte berlusconiana – e dunque un po' sorride delle paure che ancora oggi la soffocano, cose del tipo: “Oddio stasera il presidente potrebbe dimettersi” – ma che pure, da dirigente dell'Udc, coltiva legittime speranze da oppositore politico, e dunque forse si abbandona anche lui un po' alla fantasia: “Vedrete che si farà un governo Maroni”. Alla Camera, nei palazzi della politica, e dunque di riflesso anche nelle redazioni dei quotidiani, ognuno ha pronto il suo governo, che dà per certo. Il cortocircuito tra la pazza corte del Cavaliere e i giornali ha prodotto una diffusa sicurezza politica: manca poco, si lavora a un governo presieduto da Gianni Letta o da Renato Schifani. Ma è un cortocircuito appunto, un falso contatto che rende la cifra dello stato confusionale nel centrodestra. Sono le esalazioni della palude dalla quale la maggioranza fatica a emergere: mal gré Silvio Berlusconi non si fa nulla, non ci sono numeri sufficienti, nemmeno qualora si staccasse un pezzo del Pdl.

    Claudio Scajola ne ha parlato con Berlusconi, proponendogli sul serio, a quattr'occhi, a Via del Plebiscito, un avvicendamento con Letta. Ebbene il Cavaliere ha declinato, non intende fare un passo in dietro (né, per il momento, “di lato” come suggerisce Roberto Maroni). “In una situazione difficile come questa qualsiasi ectoplasma diventa reale. E l'impensabile risulta improvvisamente possibile”, dice Andrea Augello. Il sottosegretario alla Funzione pubblica finisce così col suggerire che Berlusconi possa anche sorridere all'idea di un governo Schifani o Letta, ma che la realtà talvolta supera il nostro senso dell'umorismo. Eppure gli scenari si infrangono ancora sul corpo del Cavaliere che non molla, che si proietta in avanti. Ha raggiunto un accordo politico con Umberto Bossi: gestire il cammino verso le elezioni (anticipate).

    “Noi siamo convinti che Berlusconi sia la personalità politica che nell'ambito del centrodestra possa dare la maggiore stabilità alla nostra coalizione”, ha detto ieri Angelino Alfano da Bruno Vespa, a “Porta a Porta”. Il segretario del Pdl ha usato diplomaticamente la parola “coalizione” per scacciare l'immagine di un Pdl che esploderebbe il giorno in cui qualcuno decidesse di forzare la mano del Cavaliere per spingerlo alle dimissioni. Cauto e democristiano com'è, Alfano ha usato l'espressione “maggiore stabilità della coalizione” per non dire (dicendola) la brutale verità: Berlusconi è l'unico che in una fase così complicata può tenere insieme tutto il Pdl e la Lega (e ci riesce a stento persino lui). Dunque niente Schifani e niente Letta, ammesso che sul serio i due siano mai stati disponibili. Gli amici del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dicono che Letta farebbe qualsiasi cosa, tranne che esporsi.

    Confortato e consigliato da Roberto Maroni,
    Umberto Bossi ha deposto gran parte della carica bellicosa che negli ultimi giorni aveva alimentato gli scenari di crisi, e le ipotesi di nuovi governi. Sulla riforma previdenziale c'è un accordo di massima, cui mancano i dettagli tecnici, ma che poggia su un patto politico e su una necessità condivisa: durare. Maroni, cresciuto nei consensi dentro e anche fuori dal suo partito, guarda più in là di questa legislatura e al leader ha posto un problema chiaro: tirare troppo la corda sulle pensioni, nelle condizioni attuali, potrebbe portare a una crisi che non saremmo in grado di controllare. Un nuovo esecutivo, ammesso che esista un'alternativa (il governo dei professori?), ammesso che si possa fare, non durerebbe poco: dovrebbe condurre alle elezioni, che sarebbero in primavera. Un lasso di tempo sufficiente a modificare anche la legge elettorale. E chi assicura alla Lega che non si combinino “strane alchimie parlamentari” capaci di dirottare i consensi verso una riforma del sistema di voto “sgraditissima e pericolosa”?

    E' intorno a questi ragionamenti
    che già nella notte tra lunedì e martedì la Lega ha rinfoderato la carica aggressiva sulle pensioni (mantenuta viva, ancora ieri, soprattutto a beneficio dei giornali e degli elettori). Forse è solo una leggenda, ma è verosimile. Il patto politico tra Berlusconi e Bossi prevede la resistenza, ma allo scopo di traghettarsi da soli – gestendo il cammino – verso le elezioni, quando il Cavaliere conta di poter diventare regista di una successione ordinata che incoroni Alfano proiettandolo alla guida del centrodestra. Per sé il Cav., che conta anche di superare indenne il processo Mills, sogna ancora il Quirinale. Ed è anche per questo che la prescrizione dovrà arrivare prima di gennaio.

    Leggi Ahi, e se tocca a noi?

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.