'O scassatutto

Marianna Rizzini

Adesso che Luca Cordero di Montezemolo regala parole da imprenditore solidale agli indignados italiani pronti a scendere in piazza il 15 ottobre (“la loro protesta è per certi aspetti comprensibile”, ha detto), il sindaco di Napoli Luigi De Magistris – che già il 15 settembre annunciava “sarò in piazza il 15 ottobre” – dovrà dire una volta di più quello che da qualche giorno va ripetendo: “Montezemolo e Profumo? Non saranno loro a cambiare il paese”.

    Adesso che Luca Cordero di Montezemolo regala parole da imprenditore solidale agli indignados italiani pronti a scendere in piazza il 15 ottobre (“la loro protesta è per certi aspetti comprensibile”, ha detto), il sindaco di Napoli Luigi De Magistris – che già il 15 settembre annunciava “sarò in piazza il 15 ottobre” – dovrà dire una volta di più quello che da qualche giorno va ripetendo: “Montezemolo e Profumo? Non saranno loro a cambiare il paese”. Chi se lo aspettava, infatti, un Montezemolo concorrente (con De Magistris) sul piano indignato (di De Magistris), e però De Magistris, tra una smentita e una mezza ammissione, cerca di marcare per tempo il territorio, come prendendo da Montezemolo la strategia della perenne preparazione alla discesa in campo.

    All'Italia, come a Napoli, serve un “grande movimento”, ha detto il sindaco di Napoli l'11 ottobre, rimembrando i giorni in cui se ne andava in giro tra la folla più che mai scalmanato, con in testa un bandana arancione che neanche il Cav. a Porto Cervo – giorni rari, quelli, quanto i sorrisi sul volto imbronciato di De Magistris (Ignazio La Russa aveva provato a fargli qualche battuta a “Porta a Porta”, nel post elezioni, ma niente: il neo sindaco se ne stava lì in poltrona, scuro nonostante la vittoria, e forse è per questo che le signore napoletane di una certa età, quelle che ancora, racconta un politico locale, “al pomeriggio prendono di tanto in tanto un tè al Caffè Gambrinus”, dicono che “Giggino” assomiglia a Tyrone Power, attore tenebroso, aviatore alleato e padre di Romina). No, non faccio un partito, dice De Magistris, smentendo di essersi già assicurato il dominio internet per un eventuale sito “Italiaetua”, proiezione nazionale della lista “Napoli è tua” con cui il sindaco ed ex pm si è fatto strada sotto al Vesuvio. “No, non faccio un partito”, dice, ma un minuto dopo gli riscappa detto che “il manifesto di novembre” sarà l'atto di nascita “di un movimento che traduca le istanze di democrazia e partecipazione in istanze di governo e cambiamento delle cose”. Ogni giorno una parola in più, ogni giorno un pezzetto a scoprire la sorpresa: oggi De Magistris fa capire sul Fatto che il sogno di “scassare” su scala nazionale non è più soltanto un sogno, domani parla a Repubblica di “alternativa ai partiti” sulla base della piattaforma indignata “Uniti contro la crisi, oltre la crisi” (ma il 12 ottobre, sulla scalinata del romano Palazzo delle Esposizioni, tra un saltinbanco e un suonatore, nell'accampamento scalcinato dei manifestanti anti Bankitalia, l'idea di un De Magistris nazionale faceva dire a un ragazzo: “Meglio Nichi Vendola”). Di sicuro De Magistris se la batte con Nichi Vendola in astrusità internettiane (forse addirittura si fa erede di “Nichi ma che stai a di'?”). Su Twitter, dunque, il sindaco accigliato libera nostalgie liceali (Che Guevara) e si abbandona a linguaggi ecumenico-criptici, lontani dalle asprezze da procura ma pure pericolosamente intasati da ubriacature citazioniste: si va da Carlo Pisacane (“nel mezzogiorno dell'Italia la rivoluzione morale esiste”), a George Bernard Shaw (“io sogno le cose come non sono mai state e dico: perché no?”) a Pablo Neruda (“la speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno per la realtà delle cose; il coraggio per cambiarle”) a Hans Jonas (“agisci in modo che gli effetti della tua azione siano compatibili con la permanenza di una vita autenticamente umana sulla terra”). “Pugni in alto verso il cielo, cuore aperto e grande, amore”, scrive poi su Twitter un liricamente insolito De Magistris, lasciando che la schiena dritta da ex pm con il pallino delle cricche calabro-lucane – e pazienza se le inchieste finiscono in niente – si trasformi in amarcord: “Sono stato stasera con Renzo Arbore a Pesaro, ‘Quelli della notte', il 1985, l'anno della maturità. Quanti ricordi.Un grande!”. Sempre a Twitter il sindaco affida l'autolode agostana sui passi compiuti verso il passaggio napoletano dell'America's Cup, promessa elettorale naufragata in settembre (e il comune veniva a quel punto accusato dalla stampa locale di aver millantato accordi non chiusi, tanto che il Mattino compostamente commentava: “C'è da restare attoniti”).

    Ma che vuoi che siano, questi malumori, per un sindaco che si è definito “enorme plusvalore” (lo ha detto a Claudio Sabelli Fioretti che lo intervistava per il libro “Di lotta e di governo”, edito da Aliberti). Fatto sta che il pensiero di De Magistris, ancorato a Napoli dal pericolo monnezza (“in un anno e mezzo trecentomila tonnellate di rifiuti andranno all'estero”, ha detto il sindaco a “24 Mattino” su Radio 24), sembra correre sempre più spesso al suddetto manifesto d'autunno, un “nuovo modo di fare politica”, così l'ha chiamato De Magistris, e dev'essere zucchero per le orecchie del filosofo Paolo Flores d'Arcais, uno che già due anni fa consigliava ad Antonio Di Pietro di sciogliere l'Italia dei valori in un grande magma movimentista. Qui ci vuole un “Big bang”, diceva Flores (oggi lo dice Matteo Renzi al Pd pericolante, ma tant'è). De Magistris ora incarna l'afflato del Big bang sognato allora da Flores, e intanto cita a ogni piè sospinto la miscellanea buona per tutte le stagioni: precari, studenti, disoccupati, nemici della finanza ladrona, amici dell'economia sostenibile, nemici dell'acqua privatizzata, amici del salario di cittadinanza.

    E insomma il neo sindaco di Napoli, già autore di inchieste anticricca non proprio finite in gloria (Why not, Toghe lucane, Poseidon), e autore di dichiarazioni invise al Pd (“Bersani non poteva non sapere che cosa faceva il suo capo di segreteria”, ha detto a Concita De Gregorio su Repubblica), sta rischiando, dai e dai, di far arrabbiare non solo il già inviperito Beppe Grillo (ex amico che De Magistris continua invano a blandire) ma pure gli indignati internettiani che ai tempi del suo mandato europarlamentare, interrotto per candidarsi a Napoli, gli ricordavano la frase a effetto dell'esordio politico: “Lasciare il lavoro incompiuto non sarebbe un bel segnale”. Ma io voglio fare il sindaco, dice De Magistris come tutti i sindaci che pensano ad altro (da Matteo Renzi al Walter Veltroni d'antan), rinserrandosi sempre più nel suo cipiglio – e però quando qualcuno gli dice “sei antipatico” lui trasecola: in realtà molti mi trovano cordiale, racconta a Claudio Sabelli Fioretti.

    D'altronde la simpatia era d'intralcio negli anni da pm a Catanzaro – anni che De Magistris non smette di rimembrare, ché le inchieste che altri vedono “finite nel nulla” lui le vede soltanto fermate sul più bello dai “poteri forti”. Qualche errore sì, magari l'ho commesso, dice, ma per la fretta di chiudere l'indagine. Mi hanno messo a tacere non con il “tritolo” ma con il trasferimento”, dice il De Magistris pronto a denunciare la “violenza morale” subita – giorni duri, eroiche gesta in terra di Calabria, dove a sua moglie non era concesso neppure di svagarsi nei salotti frequentati dai poteri forti, di nuovo loro, le figure mitologiche che l'ex pm, nei suoi racconti, combatteva in solitaria. C'è chi si inchina, a sentir parlare il sindaco di Napoli, e chi sobbalza: capita infatti che De Magistris, dopo essersi definito “pietra miliare”, “persona straordinaria” e persona di grande “fascino”, confessi di essere spesso “sgarbato” con mamma e moglie, di scocciarsi a giocare con i figli (“spero capiscano in futuro”), di piacere senza dubbio alcuno alle donne (ma la moglie “non ha nulla da temere”, ché con il matrimonio Luigi De Magistris si è messo “fuori mercato”), di aver avuto molte donne, certo, ma di non essere mai stato lasciato (lasciare è peggio, dice, con l'aria di chi sottolinea l'immensa sofferenza di essere tutto d'un pezzo). Piaccio anche ai gay, ha detto in varie sedi il sindaco di Napoli, ribadendo il concetto: sono carismatico. Chissà con quale carisma, allora, Luigi il pm beveva spremute d'arancia a Catanzaro (la moglie Maria Teresa ne è rimasta conquistata, ha confessato a Vanity Fair). Non è facile starmi vicino, ha detto un giorno De Magistris, ma la moglie oggi minimizza, in nome del ménage comunque solido – due figli, gli anni a distanza, una suocera eccezionale – e della resistenza “da scout” temprata in gioventù.

    Non è invece d'intralcio, l'ego vagamente ipertrofico dell'ex pm, al lancio della “cosa”, il movimento di novembre che, a occhio e croce, debutta nei giorni in cui torna in video il Michele Santoro sedicente martire, e cioè l'altro catalizzatore d'indignati, prossimamente in video su multipiattaforma con i suoi “Comizi d'amore”. “Ho sottoscritto la campagna a sostegno di ‘Comizi d'amore', il nuovo programma di Santoro”, ha scritto su Facebook il sindaco di Napoli. “Sono sicuro che scasserà”, ha aggiunto in omaggio al verbo base della sua campagna cittadina: scassare, fare il botto (ma il lessico rilassato da ragazzotto in pizzeria non cancella l'impressione che l'ironia, per non dire l'autoironia, non abiti dalle parti di De Magistris).

    “La ‘cosa' di De Magistris”, osserva un frequentatore del comune napoletano, “permetterebbe a De Magistris di uscire indenne dall'inevitabile bagno di disillusione cui la cittadinanza andrà incontro quando il sindaco dei miracoli dovrà affrontare la realtà”. Tanto più che la realtà già si fa assillante: gente che denuncia parcheggi abusivi con post minacciosi sul sito internet del sindaco; gente più demagistriana di De Magistris che vede fumo nella vicinanza del “fratello del sindaco”, organizzatore di eventi musicali, alle iniziative culturali del comune; gente che non manda giù la sostituzione del post bassoliniano Nicola Oddati al vertice del Forum delle Culture 2013, evento multiculti foraggiato dall'Unione europea: De Magistris ha sostituito in men che non si dica Oddati con il cantautore Roberto Vecchioni, tormentone dell'anno da Sanremo alla Milano di Pisapia. Oddati ha annunciato battaglia giudiziaria. De Magistris, senza convenevoli, ha risposto: “Una stagione è finita”, motivando il tutto come “rottura degli equilibri partitocratici”. E il consigliere regionale del Pd Corrado Gabriele, sul Corriere del Mezzogiorno, non l'ha mandata a dire: “Si chiarisca l'eventuale ruolo del fratello del sindaco”.
    Mettici poi che la Rete dei comunisti napoletani si è messa a chiamare il sindaco (su Internet) “Luigi Bonaparte De Magistris”, contestandogli i buoni rapporti con l'imprenditore Antonio D'Amato, sostenitore dell'ultima ora al ballottaggio contro Gianni Lettieri – non è che De Magistris, via D'Amato, si renderà permeabile ai “palazzinari” che mirano all'area Napoli est?, si chiede il comunista Michele Franco. Le accuse vengono da ambienti trinariciuti, sì, ma è comunque un brutto colpo per un sindaco che parla di “riqualificazione” delle aree ex industriali rivendicando al contempo la formazione rossa (e se nelle interviste De Magistris sparge tributi istituzionali a Luigi Berlinguer, via web mostra saudade zapatista). E non basta, ché i primi quattro mesi di regno napoletano, nonostante il tormentone del comune sulla raccolta differenziata (da Scampia ad Anacapri, con sommo stupore di Anacapri), hanno portato a De Magistris le critiche dei sostenitori meno flessibili (“vuole portare Napoli al centro del Mediterraneo, parla di eventi culturali e piazze da aprire ai giovani, ma qui i problemi sono i soliti: disoccupazione, degrado, camorra”, dice un consigliere comunale di centrosinistra). Per non parlare di chi, a Napoli, a forza di sentire i fan di De Magistris lamentare l'indolenza della classe politica napoletana, si è messo a criticare De Magistris per la trasferta a Manchester dietro al Napoli (“gli argomenti”, racconta un giornalista napoletano, “anche a sinistra sono stati quelli usati dal deputato della Lega nord Giovanni Fava, che ha accusato il sindaco di aver annullato due sedute del Consiglio comunale per partecipare al viaggio degli ultrà”). E se il neo sindaco di Napoli, scrive Repubblica (dati Monitorcittà), è uno “dei cinque sindaci più apprezzati d'Italia”, si dà il caso che tra quei cinque ci sia pure Vincenzo De Luca, ex bestia nera di De Magistris (“non lo voto perché inquisito”, aveva detto l'ex pm negli anni in cui accusava tutti un tanto al chilo, sempre definendosi “garantista”. Roba vecchia, comunque: oggi De Luca e De Magistris parlano amabilmente di “asse Napoli-Salerno” davanti al campus di Fisciano, con tanti saluti agli elettori puristi dell'Italia dei valori, quelli che criticavano Di Pietro per l'appoggio a De Luca nelle elezioni campane e lodavano De Magistris per il suo niet.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.