Correnti alternate

Per il Cav. è meglio uno Scajola all'uscio che un autocrate al Tesoro

Salvatore Merlo

Non bastassero le parole di Silvio Berlusconi, che lo considera “una risorsa” contro Giulio Tremonti e non un pericolo per sé, il coefficiente di rischio rappresentato da Claudio Scajola è nei numeri delle truppe che realisticamente è in grado di muovere: cinque senatori, e neanche troppo convinti, cui si sommano i quattro di Gianfranco Micciché sulla cui fedeltà al Pdl però garantisce il Cavaliere in persona. Rimangono Franco Orsi, Salvatore Lauro, Giuseppe Saro, Beppe Pisanu ed Esteban Caselli, il senatore eletto in Sudamerica.

    Non bastassero le parole di Silvio Berlusconi, che lo considera “una risorsa” contro Giulio Tremonti e non un pericolo per sé, il coefficiente di rischio rappresentato da Claudio Scajola è nei numeri delle truppe che realisticamente è in grado di muovere: cinque senatori, e neanche troppo convinti, cui si sommano i quattro di Gianfranco Micciché sulla cui fedeltà al Pdl però garantisce il Cavaliere in persona. Rimangono Franco Orsi, Salvatore Lauro, Giuseppe Saro, Beppe Pisanu ed Esteban Caselli, il senatore eletto in Sudamerica che il Cavaliere considera un simpatico piantagrane: un personaggio singolare, dagli strani interessi, che si muove per i fatti suoi (contrattò preventivamente con Denis Verdini la sua permanenza nella maggioranza dopo la scissione di Gianfranco Fini). Per recuperarlo, Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello martedì prossimo si sottoporranno a un lungo viaggio in auto fino a Tagliacozzo, estremo confine meridionale dell'ex stato Pontificio: lì, dove un tempo cominciava il regno delle due Sicilie, saranno da lui fregiati del titolo di Cavaliere dell'ordine borbonico.

    Angelino Alfano darà una veste politica al lieto fine di una vicenda che non sembra avere mai davvero turbato Berlusconi. Il segretario parlerà con Scajola, ma l'ex ministro dell'Interno ha già rinfoderato gran parte della carica frondista (montata più sui quotidiani che nel Palazzo). Gianni Alemanno e Roberto Formigoni si preparano a incontrarlo oggi, e gli consegneranno un messaggio molto chiaro: il governo non va messo a rischio. Il timore del governatore lombardo e del sindaco di Roma, che pure sono tra i più agitati nella corte berlusconiana, è che le mosse scomposte di Scajola possano per reazione vedere nascere “il partito di Salò”, quello degli irriducibili berlusconiani pronti a resistere fino all'ultima raffica di mitra. Sia Alemanno sia Formigoni, come un pezzo della gendarmeria berlusconiana, e probabilmente come il segretario Alfano, pensano sia invece possibile una gestione ordinata della transizione verso un Pdl senza il Cavaliere. E non vogliono guai. Quanto al premier, lui vede in Scajola solo un nemico di Tremonti. E dunque gli sorride.

    L'esuberanza di Claudio Scajola per il Cavaliere rappresenta sia un utile diversivo mediatico dal conflitto in seno al governo sul decreto sviluppo sia in prospettiva una bandiera da agitare, e dietro la quale nascondersi e giustificarsi, per sferrare qualche colpo duro al poco amato Giulio Tremonti (paragonato a “Savonarola” oggi da Fabrizio Cicchitto sul Foglio nell'articolo accanto). Niente di più. D'altra parte l'unica richiesta chiara di Scajola al Pdl e al presidente del Consiglio, oltre a una posizione per se stesso, è il ridimensionamento del ministro dell'Economia. E si può immaginare quanto questa sia una richiesta sgradita al Cavaliere che ha concluso la settimana scorsa tentando (invano) per la seconda volta in meno di un mese, assieme a Gianni Letta, di condannare Tremonti alla collegialità. “Claudio è la Salomè di Berlusconi”, dice un amico dell'ex ministro dell'Interno. Secondo questa metafora biblica il premier sarebbe il re Erode mentre a Tremonti tocca il ruolo del povero Giovanni Battista decollato. Chissà.

    Si capisce dunque che, se Berlusconi non teme Scajola, l'ex ministro è tuttavia temuto dai dirigenti del Pdl che pensano alla rifondazione berlusconiana: quelli, come Angelino Alfano, Fabrizio Cicchitto, Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello, Raffaele Fitto, Mariastella Gelmini, Roberto Formigoni, Gianni Alemanno (e il presidente del Senato Renato Schifani) che pur coltivando ambizioni diverse per il futuro pensano tutti sia necessario uscire in maniera ordinata dal berlusconismo. Senza troppi traumi. Oggi Formigoni e Alemanno lo diranno chiaro anche a Scajola: “Non si deve mettere a rischio in nessun modo il governo”. Non ora. Non così. Come dire: dev'esserci un piano pronto, un'alternativa credibile. La crisi di governo adesso farebbe soltanto esplodere il Pdl e il centrodestra, e forse senza nemmeno archiviare Silvio Berlusconi. Dev'essere il premier – pensano – a gestire la transizione, a maturare lui da solo l'idea di una sua non ricandidatura per il 2013.

    Lo stesso Scajola si autorappresenta come un uomo della mediazione e non un estremista della rottura. E dunque parla poco con i giornalisti, e manda avanti i suoi amici che sono poi persone molto diverse tra loro per storia personale e idee sul da farsi: Salvatore Cicu copre la fascia più bellicosa, mentre il tranquillizzante Massimo Maria Berruti l'ala irenista e cauta. Anche qualora Scajola facesse sul serio, non si porterebbe dietro tutta la corrente. E lo sa bene. Adesso aspetta solo la chiamata del Cavaliere, che non tarderà ad arrivare.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.