Così l'eccentrico Marchionne imbarazza un po' Casa Agnelli

Ugo Bertone

Tutti assieme. Appassionatamente, o quasi. Al primo gol di Marchisio John Philip Elkann, in maglioncino blu, si alza e, prima di lasciare lo stadio, dà un bacio affettuoso a zia Allegra, juventina fanatica. Il cugino Andrea, in completo blu, accende l'ennesima sigaretta fuorilegge nello stadio. Ma guarda soddisfatto Sergio Marchionne, che non tradisce emozioni: quegli 80 milioni spesi per la Juve, tanto indigesti all'ad del Lingotto, sono serviti a qualcosa.

    Tutti assieme. Appassionatamente, o quasi. Al primo gol di Marchisio John Philip Elkann, in maglioncino blu, si alza e, prima di lasciare lo stadio, dà un bacio affettuoso a zia Allegra, juventina fanatica. Il cugino Andrea, in completo blu, accende l'ennesima sigaretta fuorilegge nello stadio. Ma guarda soddisfatto Sergio Marchionne, che non tradisce emozioni: quegli 80 milioni spesi per la Juve, tanto indigesti all'ad del Lingotto, sono serviti a qualcosa.
    Eccolo il quadretto di casa Agnelli la sera prima dello strappo storico con la Confindustria. Tutti allo stadio, come ai tempi dell'Avvocato e del Dottore, quando perfino Cesare Romiti doveva fingere una passione bianconera. A dimostrazione che Casa Agnelli ci tiene a stare in testa alla serie A. Con buona pace di Emma Marcegaglia, quella che, all'assemblea di maggio, tuonò dal palco della sala Santa Cecilia dell'Auditorium che “tra di noi non esistono soci di serie A e di serie B”. E ancora, senza guardar negli occhi Elkann, più disorientato che colpito, “sono finiti i tempi in cui poche aziende decidevano per l'azienda di Confindustria: proseguiremo a modernizzare le regole sindacali senza strappi improvvisi che fanno male al sistema delle imprese e al paese”.

    Poteva finire lì, in quella dichiarazione pubblica di divorzio con cui lady Confindustria replicava alle richieste di Marchionne. E forse, se ci fosse stato il manager con il maglioncino blu in sala, sarebbe andata così. Ma John, il nipote dell'Avvocato, sa essere un muro di gomma. Dopo quella sparata si limitò a dire: “L'uscita di Fiat dalla Confindustria non è un tema di oggi, non è d'attualità”. Ma i muri di gomma, si sa, sono impenetrabili. Ne sa qualcosa Furio Colombo, uno di quelli che durante la vertenza di Mirafiori, l'inverno scorso, si appellò alla memoria dell'amato Avvocato aggredendo l'attuale presidente di Fiat: “Perché ha scelto di non esistere mentre si discute di portare via da Torino ciò che resta della Fiat per portarla nella semi fallita Chrysler?”. La “semi fallita” Chrysler ieri ha annunciato di aver aumentato le vendite a settembre del 27 per cento, con un trend che va avanti da 18 mesi. A Torino, intanto, arrivano le linee della Jeep. Forse per questo Elkann ha scelto di “non esistere” per quegli intellettuali, politici e sindacalisti che in pubblico tuonano contro gli aiuti dello stato alla Fiat ma sotto sotto hanno una bella nostalgia per la vecchia azienda mantenuta e un po' viziata.

    Elkann, sotto i cieli di una crisi che sta colpendo duro l'auto (ma non solo), ha capito che non gli conveniva aderire al branco che oggi, dopo aver fatto buoni affari, si scopre antigovernativo. In fin dei conti, lui ci rimette soltanto una poltrona nel comitato di presidenza della Confindustria con la responsabilità del progetto “Analisi e opportunità di sviluppo nei grandi paesi emergenti”. Una scocciatura in meno. Già basta e avanza l'impegno di tenere a bada quell'elefante in cristalleria che è Marchionne quando gli si fanno presenti le “peculiarità” del caso Italia. Anche se Marcegaglia aveva fatto notare che la presenza di Elkann nel comitato di presidenza era la dimostrazione che il Lingotto restava in Confindustria. E ieri lo stesso comitato di presidenza ha detto di non condividere le decisioni della Fiat. Elkann di sicuro sarà imbarazzato.

    Infatti all'interno della Real Casa non tutti sposano, senza perplessità, l'intransigenza di Marchionne. Non si sta parlando di Andrea, pur colpevole di aver chiesto e ottenuto tanti quattrini per la “sua” Juve dal cugino John che, probabilmente, avrebbe preferito un paio di giocatori e un aumento di capitale in meno. Ma Andrea, che da ragazzo per anni ha frequentato nei weekend casa Marchionne a Ginevra su raccomandazione di papà Umberto, non è certo un nemico del manager. Semmai, nella sterminata Casa Agnelli c'è chi a volte rimpiange i toni di Luca Cordero di Montezemolo, così affabile con tutti, compresa Susanna Camusso, segretario generale della Cgil. Marchionne è di tutt'altra pasta, fatto apposta per suscitare l'ostilità dei “politically correct” anche quando, come ieri, ha precisato gli investimenti. Una “ciofeca” in comunicazione come lui stesso si definisce: non ha ambizioni politiche, ma riesce a irritare sinistra e destra dando in parte ragione a Diego Della Valle e promettendo un voto a Montezemolo (“è una brava persona”) se il presidente della Ferrari, con cui ha avuto più di una frizione al Lingotto, scegliesse di scendere in campo. Una “ciofeca” che ha giocato un brutto scherzo ad Alberto Bombassei, vice della Marcegaglia per le relazioni industriali ma anche membro del cda di Fiat Industrial nonché fornitore del Lingotto, che ieri ha detto che “la scelta di Marchionne non fa piacere, ma è da rispettare”. Non sarà facile indossare la tripla casacca, anche se Marcegaglia ha troppi problemi per chiedere al leader di Brembo di sconfessare l'ad del Lingotto.

    Lui tira dritto: in pubblico e in privato continua a ripetere, non da tutti creduto, che nel 2014 lascerà la Fiat. Ma chi ha in famiglia Lapo, che continua a parcheggiare il suo Suv (marca Jeep, buona pubblicità per le vetture di Mirafiori) in mezzo alla strada bloccando la circolazione, non si spaventa di sicuro per qualche cristallo rotto in viale dell'Astronomia.