Crescere, obbedire, combattere

Tremonti fa il vago, ma il Cav. vuole riscrivergli il decreto sviluppo

Salvatore Merlo

“Tremonti sta creando l'unanimità attorno a sé”. E dopo averlo detto, Fabrizio Cicchitto si ferma, guarda l'interlocutore negli occhi e mette su un sorriso sornione… Il senso dell'unanimità cui si riferisce il capogruppo del Pdl alla Camera è nella sentenza, un po' greve ma efficace, che sfugge a Jonny Crosio, amico di Roberto Maroni, architetto e deputato della Lega: “L'Italia è circondata da tre mari e inculata da Tre-monti”.

    “Tremonti sta creando l'unanimità attorno a sé”. E dopo averlo detto, Fabrizio Cicchitto si ferma, guarda l'interlocutore negli occhi e mette su un sorriso sornione… Il senso dell'unanimità cui si riferisce il capogruppo del Pdl alla Camera è nella sentenza, un po' greve ma efficace, che sfugge a Jonny Crosio, amico di Roberto Maroni, architetto e deputato della Lega: “L'Italia è circondata da tre mari e inculata da Tre-monti”. Il sottosegretario Guido Crosetto chiede le dimissioni del ministro, e ora è difficile persino per i leghisti difenderlo, non per Maroni, che di lui dice “non capisco come voglia fare lo sviluppo a costo zero”, ma per Umberto Bossi e Roberto Calderoli, che pure ci provano. Il ministro dell'Interno, al contrario, incoraggia l'inclinazione del Pdl e di conseguenza quel superministero economico, fatto di Bilancio, Finanze e Tesoro, glielo vorrebbe togliere: i sogni più dolci di Maroni sono abitati da un Tremontino liofilizzato.
    Bossi e Calderoli difendono Tremonti, ma pure sanno che stavolta ha esagerato.

    Ancora una volta il ministro è inciampato sul suo brutto carattere, sull'idea stessa, e spavalda, che Tremonti ha di Tremonti: la battuta allusiva, il graffio, l'eccesso di intelligenza che soffoca l'intelligenza. Il paragone tra la Spagna e l'Italia, quella frase sulle elezioni anticipate e salvifiche per la penisola Iberica (e dunque anche per l'Italia) non hanno lasciato “esterrefatto” soltanto Silvio Berlusconi. “Mi limito a ricordare che Tremonti è ministro di questo governo”, ha detto Dario Galli, che di mestiere fa il presidente della provincia di Varese, la terra promessa della Lega. Come dire: “O sei di lotta o sei di governo”. Il presidente del Consiglio il suo punto di vista su Tremonti, agli amici, lo ha spiegato a gesti: la punta dell'indice che batte ritmicamente sulla tempia; un'immagine poi tradotta a parole di fronte a Tremonti e Gianni Letta. Eppure il ministro considera chiuso l'incidente e affetta sicurezza, al Cavaliere ha chiesto persino, di nuovo, la nomina di Vittorio Grilli alla Banca d'Italia. Ma per Berlusconi l'incidente non è affatto chiuso: il premier vuole il decreto sullo sviluppo, ed è pronto a farselo da solo se necessario.

    Passeggiando su e giù per il Transatlantico, ad alta voce e con aria svagata, Giulio Tremonti si fa sentire dai deputati del Pdl che gli stanno intorno: “Allora con chi devo farlo questo decreto sullo sviluppo?”. Poi un sorrisetto: “Mi devo coordinare con Brunetta o forse devo mettermi d'accordo con Romani?”. E cosa il ministro dell'Economia pensi dei colleghi Renato Brunetta e Paolo Romani non è un mistero. Per Tremonti è il modo più naturale, il più consono alla sua indole e all'evolutissima antipatia che il Palazzo gli riconosce unanimemente, di rispedire a Palazzo Grazioli la parola “collegialità” alla quale Gianni Letta e Silvio Berlusconi hanno provato (senza successo) a condannarlo: del decreto sviluppo, a lui, non importa niente.

    Ma al Cavaliere sì, importa molto: come Roberto Maroni, anche Berlusconi vede nel decreto sullo sviluppo la soluzione a tutti i guai, la scossa, “il drizzone”, da dare all'economia; “ma Tremonti non può davvero pensare di imporcelo a costo zero”, dice Maroni. “A che servirebbe?”. Nonostante l'incidente spagnolo, nonostante le richieste di dimissioni (“Tremonti è un problema”, dice Guido Crosetto), il ministro dell'Economia ieri è stato perfettamente in grado di resistere a Berlusconi, a Gianni Letta e ad Angelino Alfano. Senza nemmeno scomporsi troppo, ha tirato fuori di nuovo anche la candidatura di Vittorio Grilli alla Banca d'Italia, e bisogna proprio immaginarsi la faccia che in quel momento deve avergli fatto il Cavaliere. Due riunioni, una nella notte tra martedì e mercoledì, un'altra nella mattina di ieri e un solo risultato: niente di fatto.

    Oggi il presidente del Consiglio intende riprovarci, vuole insistere con il suo ministro, dopo pranzo, dopo il Consiglio dei ministri, anche se preferirebbe – se potesse – delegare ad altri la gestione dell'“incubo” chiamato Tremonti, non ne può più il Cavaliere; è arrivato a chiedere aiuto a Bossi: “Traducigli tu le cose che gli voglio dire”. Ma il capo della Lega dice di non volere “rotture di coglioni”, ed è inevitabile pensare che si riferisca anche a Tremonti, che stavolta, anche secondo Bossi, ha un po' esagerato: “Penso che non ci sarà la crisi di governo, ma dei rapporti tra Berlusconi e Tremonti bisogna chiedere a Tremonti”. Il Cavaliere spera di riuscire ad accerchiarlo, a Palazzo Chigi le hanno pensate tutte, Gianni Letta fa estenuanti esercizi di diplomazia. “Quello che dobbiamo fare è un lavoro di ‘circonvenzione'”, dice un collaboratore del premier: come si fa con i matti. Ma Berlusconi non vuole perdere altro tempo: “Se necessario il decreto me lo scrivo da solo”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.