Sperare che non sia femmina

Valentina Fizzotti

“Si dice che le tre parole più pericolose da pronunciare in Cina siano ‘E'-una-bambina'”, ha detto il deputato americano Chris Smith, repubblicano del New Jersey e presidente della Commissione parlamentare per i diritti umani. Giovedì scorso in quella Commissione c'era un'audizione dedicata alle ultime testimonianze sulla politica del figlio unico in Cina, “il crimine di massa del governo contro donne e bambini non nati”.

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    “Si dice che le tre parole più pericolose da pronunciare in Cina siano ‘E'-una-bambina'”, ha detto il deputato americano Chris Smith, repubblicano del New Jersey e presidente della Commissione parlamentare per i diritti umani. Giovedì scorso in quella Commissione c'era un'audizione dedicata alle ultime testimonianze sulla politica del figlio unico in Cina, “il crimine di massa del governo contro donne e bambini non nati”: il controllo della popolazione che in trent'anni ha portato alla scomparsa di quattrocento milioni di femmine e a uno sterminio deliberato delle bambine a favore di un unico figlio maschio. A confermare al Congresso l'ordine di grandezza delle conseguenze di aborti forzati, infanticidi e sterilizzazioni coatte era stato, giusto il giorno prima, un ex ministro della Salute cinese, Gao Qiang, secondo il quale la Cina oggi viaggia al ritmo di trentasettemila aborti al giorno per le politiche demografiche.

    Reggie Littlejohn, l'attivista a capo dell'associazione Women's Rights Without Frontiers, all'audizione ha portato un faldone con la documentazione di nuovi casi di abusi. Dell'uomo che ha raccolto testimonianze e foto si sa che ha 33 anni e vive in una città sulla costa, nella provincia di Lianing, facendo il contabile e rischiando carcere e tortura per renderle pubbliche. Nel suo rapporto, fra le altre, si legge la storia di una donna presa per strada nella provincia di Henan e trascinata via da un responsabile locale della pianificazione familiare e da un'ufficiale cittadina “del settore femminile”, una polizia per sole femmine sguinzagliata alla caccia di chi non rispetta le regole. In molte province cinesi le donne devono presentarsi una volta ogni due o tre mesi al controllo che accerta che non siano rimaste incinta illegalmente, ovvero senza permesso dello stato. Per chi si è trasferita il regolamento prevede il ritorno per il controllo nella città di origine, e se l'appuntamento medico salta (c'è chi, per esempio, quel giorno non poteva lasciare l'ufficio o chi ha perso il treno) le autorità hanno diritto di picchiare, minacciare o arrestare te e tutta la tua famiglia, di entrare in casa tua e sfasciare tutto, di chiederti l'equivalente di tre mesi di stipendio in cambio della libertà. La situazione precipita se vieni trovata incinta: il report racconta di due donne costrette ad abortire in modo orribile a un paio di settimane dalla data prevista per il parto. “E tanto è inutile che chiami la polizia o vai dal giudice, perché a nessuno fregherà nulla della tua storia”, come ha messo in chiaro un ufficiale di Shandong dopo aver riempito di botte una coppia inadempiente.

    Gli uffici locali della pianificazione familiare sono attrezzati con celle, in cui vengono rinchiuse fino a venti persone alla volta, e sono efficientissimi: hanno “obiettivi di produttività” da rispettare e piani strategici per il controllo demografico. Il regolamento della provincia dello Jiangxi, per esempio, sancisce la contraccezione di Stato: chi ha da zero a un figlio deve mettersi una spirale (contraccettivo molto invasivo e con forti controindicazioni soprattutto per le più giovani), chi ne ha due farsi legare le tube. “Il governo, a tutti i livelli – si legge – dovrebbe creare le condizioni per assicurare che i cittadini scelgano consapevolmente metodi contraccettivi sicuri, efficaci e appropriati”.

    “A causa di aborti selettivi e uccisioni delle bambine si stima che ci siano 37 milioni di maschi cinesi che non troveranno mai moglie, e questo favorisce la tratta sessuale delle femmine dai paesi confinanti”, dice al Foglio Littlejohn, fra i promotori del China Democracy Promotion Act of 2011, un disegno di legge che permetterebbe al presidente americano di vietare l'ingresso negli Stati Uniti di chi, fra i cittadini cinesi (come i nomi contenuti nel rapporto), si è macchiato di violazione dei diritti umani e ha partecipato all'imposizione della politica del figlio unico. “In Cina – spiega – il corpo di una donna è proprietà dello stato. Con la sua ‘polizia dell'utero' il Partito comunista cinese perpetra un crimine contro l'umanità”. Ad agosto il vicepresidente americano, Joe Biden, in visita a Pechino, ha detto di “comprendere pienamente” la politica del figlio unico e di non essere lì “per sindacare”.

    Attualmente gli Stati Uniti
    finanziano indirettamente (ma essendone ufficialmente a conoscenza) contraccezione di stato, sterilizzazioni e aborti forzati attraverso i milioni di dollari che ogni anno danno all'Unfpa, l'agenzia dell'Onu per la popolazione che considera le misure demografiche adottate dalla Cina talmente esemplari da suggerirle a tutti i paesi. Il presidente del Rwanda, Paul Kagame, ha detto per primo di aver recepito con entusiasmo il consiglio ma ha dichiarato che per ora, se possibile, nel suo paese preferirebbe limitarsi “almeno a una politica dei tre figli”.

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