Trionfo a metà

Cameron e Sarkozy ricevuti in Libia da una leadership in frantumi

Daniele Raineri

Il giro di pista dopo la vittoria. Ieri il presidente francese, Nicolas Sarkozy, e il primo ministro britannico, David Cameron, assieme ai loro ministri degli Esteri, Alain Juppé e William Hague, sono arrivati assieme in Libia per celebrare il trionfo dell'interventismo occidentale contro il regime di Muammar Gheddafi e incontrare i nuovi leader del paese – anche se si tratta di una leadership che già tradisce segni disastrosi di scissione interna.

    Il Cairo, dal nostro inviato. Il giro di pista dopo la vittoria. Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, e il primo ministro britannico, David Cameron, assieme ai loro ministri degli Esteri, Alain Juppé e William Hague, sono arrivati assieme in Libia per celebrare il trionfo dell'interventismo occidentale contro il regime di Muammar Gheddafi e incontrare i nuovi leader del paese – anche se si tratta di una leadership che già tradisce segni disastrosi di scissione interna.

    Sarkozy ha detto che la Francia è interessata soltanto a “pace, sicurezza e riconciliazione”, e che dedica questa visita ai giovani della Siria (dove l'occidente non può e non vuole intervenire). Cameron ha insistito sulla fine certa e senza speranze del regime, chi pensa che Gheddafi possa tornare deve rassegnarsi, non succederà – è un messaggio rivolto alle ultime città dei sostenitori del colonnello, Sirte e Bani Walid, che ancora resistono – e ha portato la notizia dello scongelamento di asset del vecchio regime per 600 milioni di sterline, un dono certamente gradito al Consiglio nazionale di transizione. “Gheddafi ha detto che vi avrebbe dato la caccia come a dei topi – ha detto Cameron – e voi avete mostrato al mondo un coraggio da leoni”.

    La coppia di alleati militari-rivali in tutto il resto vuole “seguire passo passo la ricostruzione”, che promette di essere un piatto ricchissimo sia per Parigi –  che secondo uno scoop di Libération ha in tasca da aprile un accordo preventivo sul 35 per cento del petrolio libico – sia per Londra. Entrambi sono stati accolti da manifestazioni sincere di giubilo – raccontano i testimoni a Tripoli –  e hanno viaggiato dall'aeroporto di Metiga alla periferia orientale della capitale fino a un albergo di lusso del centro tra misure di sicurezza eccezionali, garantite soltanto in apparenza dai libici: il meglio delle squadre speciali francesi e britanniche è già in Libia da mesi, dove opera e combatte con il ruolo passepartout di “contingente di consiglieri militari”. E' prevista anche una seconda tappa a Bengasi, per sei mesi capitale della ribellione, dove Sarkozy intende parlare da piazza dei Martiri. E oggi arriva il premier turco Erdogan.

    I due sono stati preceduti mercoledì dalla visita del vice del dipartimento di stato americano, Jeffrey Gettleman. Washington arriva prima, ma soltanto con un vicesegretario, rispettando anche nel momento della premiazione la linea “leading from behind” seguita fin qui sulla Libia: siamo la parte più importante di questa missione, ma per una serie di ragioni di opportunità non vogliamo darlo a vedere.

    Se Gettleman è arrivato a Tripoli mercoledì, e Sarkozy e Cameron sono sbarcati ieri, il primo ministro di fatto del Consiglio nazionale di transizione si è trasferito nella capitale soltanto lunedì. Prima non si è mosso da Bengasi, come tutto il resto della leadership ufficiale dei ribelli, che anche durante la battaglia per espugnare il compound di Gheddafi è sembrata in ritardo grave rispetto ai ribelli dell'ovest.

    Ora la spaccatura sul campo si ripete in politica, nel momento delicato della spartizione dei poteri. Il capo religioso della fazione islamista, l'imam Ali al Salabi, per sei mesi ha compattato i ranghi dei suoi, ubiquo sul fronte e anche nelle retrovie in Qatar. Due giorni fa ha  lanciato un attacco mortale al primo ministro di fatto del Consiglio, Mustafa Abdul Jalil: “Lui e i suoi alleati sono secolaristi estremisti che cercano soltanto di arricchirsi con il più grande affare della loro vita – ha detto al Salabi in un'intervista ad al Jazeera, che in Libia è considerato il canale ufficiale del governo rivoluzionario – vogliono guidare il paese in una nuova era di tirannia e dittatura e potrebbero essere peggio di Gheddafi”.

    Il predicatore e leader politico è amico da 25 anni di Abdelhakim Belhaj, il controverso leader della Brigata Tripoli, quella degli islamisti, che si è quasi materializzata dal nulla a ovest della capitale nei giorni precedenti l'attacco finale. Si dice che il creatore della brigata, o almeno il grande finanziatore, sia il Qatar.
    L'apparizione sulla scena di Belhaj ha scatenato nevrosi sui media. C'è chi ricorda il suo passato nei campi d'addestramento in Afghanistan e anche, ma non è confermato, vicino al diavolo in persona, Abu Musab al Zarqawi, durante la guerra in Iraq. Per i titolisti del quotidiano britannico Telegraph è invece e semplicemente un “dissidente libico”; per l'inviato della Cnn è un combattente “con occhi seri e tenebrosi”. Belhaj è stato nominato in un primo momento capo del consiglio militare di Tripoli. Ma ora rifiuta di accettare l'invito a deporre le armi. E' abbastanza scaltro da non esporsi, sapendo di essere sotto osservazione per il suo passato jihadista, ma nei giorni scorsi si è lasciato sfuggire: “Quello che pensa al Salabi, lo penso anch'io”.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)