Gheddafi scappa sul Grande fiume

Fausto Biloslavo

Prima un convoglio blindato diretto verso il Niger, poi la notizia di un secondo convoglio, questo si dice carico di oro. Sono entrambi sospettati di fare parte del piano per la fuga del colonnello Gheddafi dalle mani dei ribelli che l'hanno spodestato, ma le notizie più fresche escludono che lui fosse a bordo. La destinazione sarebbe stata il Burkina Faso.

    Prima un convoglio blindato diretto verso il Niger, poi la notizia di un secondo convoglio, questo si dice carico di oro. Sono entrambi sospettati di fare parte del piano per la fuga del colonnello Gheddafi dalle mani dei ribelli che l'hanno spodestato, ma le notizie più fresche escludono che lui fosse a bordo. La destinazione sarebbe stata il Burkina Faso – che ha dichiarato di essere “pronto a ospitare il rais”, anzi no, anche questa è una notizia troppo precipitosa, da Ouagadougou fanno sapere che in realtà sono firmatari del trattato di Roma e quindi consegnerebbero senz'altro Gheddafi al Tribunale di giustizia internazionale.

    Ora la “capitale” della più grande tribù libica,
    un gigantesco acquedotto, la città natale del colonnello, l'oasi del sud con la fortezza italiana e un paio di basi militari  sono gli ultimi tasselli del regime di Gheddafi. Come in una sfida a scacchi, gioco che lo ha sempre appassionato, il colonnello e i suoi figli, divisi fra la resa, l'esilio e la battaglia fino alla morte hanno scelto una specie di Far West libico per la partita finale.

    I ribelli hanno conquistato Tripoli e quasi tutta la costa, dove vivono gran parte dei sei milioni di libici, ma il resto del paese è ancora terra di nessuno. Da buon beduino Gheddafi ha fatto perdere le sue tracce in un enorme triangolo di deserto che ha come vertici Bani Walid, 160 chilometri a sud est della capitale, Sirte, sulla costa a 440 chilometri da Tripoli e Sabha, nell'estremo sud, in mezzo al Sahara.

    Le colonne ribelli si sono attestate alla periferia di Bani Walid, che da sempre è considerata la “capitale” dei Warfalla, la più grande tribù del paese con oltre un milione di membri. La città di 100 mila abitanti è il punto più a nord che ancora resiste ai nuovi rivoluzionari. A fine agosto Gheddafi sarebbe stato visto nel piccolo aeroporto di Bani Walid. I ribelli sono convinti che in città ci sia ancora Moutassin, il Consigliere per la sicurezza nazionale dell'ex regime e figlio molto discreto del rais. Saif, il fratello politico che inneggia alla resistenza a oltranza è passato per Bani Walid, e nei dintorni starebbe cercando di capire che fare Saadi, il figlio calciatore del colonnello. Da giorni Saadi si propone come mediatore di un accordo con i ribelli fuori tempo massimo. Ha aperto una crepa nella compattezza famigliare sostenendo in un'intervista telefonica alla Cnn che il “discorso aggressivo” pronunciato giovedì scorso dal fratello Saif ha fatto saltare le trattative. Nella città di Warfalla sarebbe stato sepolto in gran segreto Khamis, il figlio militare di Gheddafi, se è stato veramente ucciso nella ritirata da Tripoli.

    A Bani Walid ci sarebbero non più di 600 soldati di Gheddafi, compresi un'ottantina di cecchini. La città, tagliata fuori dal mondo, è un groviglio di palazzine che non superano i tre piani. Ogni tanto nella piatta calura del deserto spunta qualche capannone industriale e il minareto di una moschea. Negli ultimi sei mesi non erano le truppe del regime a controllarla, ma i giovani della tribù. Dopo l'inizio dei bombardamenti ribadivano: “Hanno distribuito le armi leggere ai civili, ma noi combatteremo solo per difenderci. Spero che i ribelli accettino di negoziare con la tribù, invece che attaccarci, altrimenti finirà male”.

    In pratica è quello che sta avvenendo
    per evitare di cadere nella trappola di Gheddafi, che vorrebbe fare sprofondare la Libia in una guerra di clan. Fra i personaggi che trattano ci dovrebbe essere  Mohammed Ali al Ahwal, vicino a Gheddafi, che fa parte della “cupola” ristretta di cinque membri a capo dei Warfalla. Il comandante delle forze ribelli che premono su Bani Walid, Mohammed al Fassi, ha ordine di evitare il bagno di sangue. “La porta per i negoziati è ancora aperta – spiegava ieri – La proposta consiste negli arresti domiciliari per chi ha commesso crimini in nome di Gheddafi. Alcuni accettano, ma altri no”. Anche Sirte è semi circondata, ma fino a quando non cade Bani Walid, la base del triangolo dove sembra essersi volatilizzato Gheddafi continuerà ad essere una sottile linea del Piave. La città natale del colonnello, una roccaforte conficcata fra i bastioni ribelli di Misurata e Bengasi, potrebbe nascondere ancora qualche missile Scud. I fedelissimi che non sono riusciti a scappare in tempo resistono per difendere le famiglie, ma gli insorti hanno lasciato una via di fuga verso sud in direzione di al Jufra. Un'oasi non segnata sulle carte ufficiali dove è stata costruita una grande base dell'aeronautica. La Nato ha distrutto al suolo molti caccia di fabbricazione russa, ma la base rimane in mano agli uomini di Gheddafi.

    Nelle leggende che circondano il colonnello e la guerra civile in Libia la più affascinante e forse solo in parte fantasiosa riguarda “il Grande fiume”. In realtà un gigantesco acquedotto di 2.820 chilometri costato 33 miliardi di dollari, che porta l'acqua alle grandi città della costa come Tripoli e Bengasi dalle falde sotto il Sahara. Gheddafi l'aveva ribattezzato “l'ottava meraviglia del mondo” e avrebbe scelto il suo tragitto come via di fuga da Bani Walid a Sabha, il capoluogo del Fezzan, la terza e vasta regione nella Libia meridionale. Il 21 agosto è stata tagliata l'acqua a Tripoli e la minaccia potrebbe ripetersi. Alcuni comandanti ribelli sono addirittura convinti che la colonna di Gheddafi si sia infilata nelle ampie condotte del “Grande fiume”, larghe quattro metri, che possono contenere un fuori strada, per dileguarsi verso sud senza essere intercettati dai satelliti.

    Vero o falso che sia l'estremità meridionale del triangolo nel Far West libico scelto dal colonnello come ultimo campo di battaglia, dove spunta l'acquedotto, è proprio Sabha. Una città di 130 mila abitanti in mezzo al Sahara, 600 chilometri a sud di Tripoli, dove Gheddafi aveva annunciato “l'alba della masse” del golpe anti monarchico del 1969. Sabha sorge attorno alla fortezza Elena dei colonizzatori italiani, che campeggia sulle banconote libiche. Parte della città sarebbe pronta a passare con i ribelli, ma la base militare in periferia è in mani lealiste. Gli uomini di Gheddafi hanno già lanciato qualche salva di razzi sui quartieri più irrequieti. La Nato ha bombardato duramente la zona, ricca di arsenali sotterranei, che serviva da polmone di rifornimento per la Tripolitania.

    Ci vorrà ancora tempo prima che le colonne ribelli raggiungano Sabha per chiudere la partita. Gheddafi, però, ha sempre pronta l'ultima via di fuga verso il Ciad, l'Algeria, il Sudan e il Niger dove è arrivato due giorni fa Mansour Dhao, il capo di una brigata della sicurezza del colonnello.