Due delfini in gara

Formigoni e Alfano per ora vanno insieme, poi si vedrà

Salvatore Merlo

Sono animati da una reciproca e cordiale diffidenza, si conoscono da tempo, si telefonano talvolta, si descrivono amici e persino si assomigliano: l'uno più giovane e siciliano, l'altro più anziano e settentrionale, praticano entrambi l'arte della dissimulazione che è antica ginnastica democristiana. E dunque Roberto Formigoni storce un po' il naso quando il segretario del Pdl ricandida Silvio Berlusconi alla presidenza del Consiglio per la terza volta in una sola settimana, ma non lo dice. Si tratta di un'ingenuità, pensa Formigoni, per il quale valgono “le parole che il Cavaliere ha consegnato a Fedele Confalonieri sul suo prossimo ritiro”.

    Sono animati da una reciproca e cordiale diffidenza, si conoscono da tempo, si telefonano talvolta, si descrivono amici e persino si assomigliano: l'uno più giovane e siciliano, l'altro più anziano e settentrionale, praticano entrambi l'arte della dissimulazione che è antica ginnastica democristiana. E dunque Roberto Formigoni storce un po' il naso quando il segretario del Pdl ricandida Silvio Berlusconi alla presidenza del Consiglio per la terza volta in una sola settimana, ma non lo dice. Si tratta di un'ingenuità, pensa Formigoni, per il quale valgono “le parole che il Cavaliere ha consegnato a Fedele Confalonieri sul suo prossimo ritiro”. Ma il governatore su tutto questo tace, anzi, “assolve” il segretario del Pdl, perché forse in realtà ancora non ha ben deciso cosa fare con il giovane amico. Così come lui, Angelino Alfano, osserva curioso l'avanzata per linee interne del governatore che vuole farsi leader: gli sorride, coltiva anche lui l'immagine mitica del grande centro moderato con Pier Ferdinando Casini, Francesco Rutelli e Beppe Fioroni, e dunque si fa corteggiare al Meeting di Rimini e si consegna ai fotografi, ma poi dimostra più affinità privata con quel Maurizio Lupi che gli fu compagno di banco alla Camera e che di Formigoni pare sia un rivale dentro Comunione e liberazione. Tessere e disfare, avanzare e rinculare. C'è qualcosa che ricorda la Dc.

    Dunque anche Alfano,
    che non smentisce nessuno degli assi e dei patti che la stampa gli attribuisce con il governatore della Lombardia, gli si avvicina con l'abilità di chi riesce a mantenere le distanze: sovraesposto e circondato da sussurri malevoli, ricandida Berlusconi nel 2013 per sentirsi più leggero, e poco importa se questo ostacola la traiettoria formigoniana e stona anche alle orecchie interessate di Casini (“sono fatti loro”). Entrambi dissimulano, perché diffidano, e così l'atteso abbraccio in realtà non si chiude. Circondati da alleati d'occasione, e di minori ambizioni, dai Gianni Alemanno, dai Claudio Scajola, dai Raffaele Fitto, dalla vecchia guardia berlusconiana dei Fabrizio Cicchitto e dei Gaetano Quagliariello, tuttavia sono rimasti solo loro, Formigoni e Alfano, nella corsa alla successione: quella strana, disordinata e inafferrabile competizione, un po' vera un po' fasulla, certamente verosimile, di cui nel Pdl tutti ragionano ma di cui solo il Cav. riesce a parlare con una certa – e forse intimamente faceta – libertà.

    Sono rimasti Formigoni e Alfano.
    Insieme, quasi ogni giorno, non a caso compongono il freddo e rapido requiem per l'uomo che a lungo ha invece rappresentato l'opzione più forte di una successione alla guida del centrodestra, ma a trazione leghista (e meno cattolica), Giulio Tremonti. Alfano è stato fatto segretario per costringere il ministro dell'Economia alla collegialità, per dare al Pdl un volto che non fosse quello del Cav. e che dunque potesse permettersi di tenere il muso al superministro (ma senza conseguenze sul governo); mentre Formigoni, pur concedendo di essere disponibile “a recuperarne l'intelligenza”, è anche alla testa dei ribelli che chiedono modifiche alla manovra: “Tremonti non può commissariare il Pdl”. I tempi sono cambiati. E difatti né Formigoni né Alfano guardano alla Lega come sarebbe successo un tempo, quando il rapporto privilegiato con Bossi era l'atout decisivo di Tremonti. Il segretario del Pdl è riuscito ad accreditarsi alla corte di Roberto Maroni, si è fatto applaudire alla festa leghista di Bergamo (Berghemfest), ma più in là non si sporge. Così come Formigoni si considera lui stesso un rappresentante del nord, ambisce a portare Casini, Rutelli “e in un secondo momento anche qualche amico del Pd” in un Pdl rinnovato (e ribattezzato) che – certo – può anche allearsi con la Lega, ma senza soffrire troppo, in caso, per la mancanza dei padani. Tra il governatore e il segretario è Formigoni ad avere più fretta, a usare minori cautele, ad avere forse anche le idee più chiare. Formigoni non lo ammette, parla di spirito di squadra e tranquillizza i potentati (“ci sarà gloria per tutti”), ma è più lui a cercare Alfano di quanto il segretario non lo cerchi. E' Alfano che può portargli in dote l'intendenza della vecchia FI. E dunque si osservano, si studiano, ma non è detto che alla fine si ritrovino sul serio.

    “Il primo che rinnova la leadership, tra Pdl e Pd è anche quello che vincerà le elezioni del 2013”. E' l'idea di Roberto Formigoni, che si è convinto di una cosa: ha bisogno di Angelino Alfano, deve triangolare con il giovane segretario designato dal Cavaliere, l'uomo cui si è legata la vecchia classe dirigente della ex Forza Italia, e al quale il governatore della Lombardia ha affidato un messaggio, esteso a tutti i principali dirigenti del Pdl, che suona più o meno così: “Saremo noi i successori di Berlusconi, ma solo se staremo assieme e saremo capaci di gestire la transizione”.
    Sono avance recenti, superata una prima fase di tensione, quando Formigoni e Gianni Alemanno, alleati di vecchia data, si trovarono a rispondere così al Cavaliere che candidava Alfano alla presidenza del Consiglio per la prossima legislatura: “Mai visti leader per designazione”. Ma le cose sono cambiate, i modi orientali e felpati di Alfano hanno dimostrato una certa efficacia e intorno al segretario si è stretta sul serio (anche per convenienza e perché così sembra volere Berlusconi) la vecchia classe dirigente di Forza Italia. Abbastanza da rendere l'ex ministro della Giustizia una personalità con la quale è necessario – in un modo o nell'altro – venire a patti. Secondo Alemanno lo schema è quello di una specie di consolato: il capo del partito e il capo del governo, due figure distinte che dovrebbero emergere dalle primarie del centrodestra. Un sistema democratico che per il sindaco di Roma, complice l'architetto di retrovia del potere romano Andrea Augello, passa da una riforma elettorale che favorisca questo schema: primarie per legge, come vuole anche un pezzo del Pd, come sostiene Walter Veltroni. Oggi la proposta la avanza il Secolo d'Italia, con un forum cui partecipa anche Veltroni: primarie e riforma delle legge elettorale con un obiettivo implicito, costringere Casini a un negoziato.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.