Il poliziesco non si porta più, molto meglio la giustizia privata di un rapimento

Federico Tarquini

Le serie televisive attingono volentieri al serbatoio delle tradizioni culturali paneuropee. Ogni giorno appaiono sui nostri schermi vampiri, gladiatori, zombie, cavalieri, gangster e maghi. Tra tutte queste figure spicca il considerevole numero di serie tv appartenenti al filone poliziesco. Il crime occupa una ricca fetta dei palinsesti dedicati ai serial tv, al punto che alcuni network, per esempio la Fox, gli hanno destinato interi canali.

    Le serie televisive attingono volentieri al serbatoio delle tradizioni culturali paneuropee. Ogni giorno appaiono sui nostri schermi vampiri, gladiatori, zombie, cavalieri, gangster e maghi. Tra tutte queste figure spicca il considerevole numero di serie tv appartenenti al filone poliziesco. Il crime occupa una ricca fetta dei palinsesti dedicati ai serial tv, al punto che alcuni network, per esempio la Fox, gli hanno destinato interi canali. Il tutto si deve probabilmente alla capacità di questo tipo di serial d'intercettare, come del resto molti prodotti di successo, gli aspetti significativi della nostra storia recente. Le storiche figure alla Starsky&Hutch sono state sostituite da esperti della scientifica, squadre antiterrorismo, fisionomisti, avvocati d'assalto, poliziotti corrotti, ematologi serial killer.

    Tra le tante crime stories
    attualmente in onda è recentemente uscita una serie degna d'attenzione: “Kidnap and Ransom”. Rapimento e riscatto – questa la traduzione italiana del titolo originale – è una miniserie di sole tre puntate ambientata tra l'Inghilterra e il Sudafrica che, come facilmente intuibile, tratta il tema dei rapimenti. Lo fa però dall'ottica di una figura inedita per il piccolo e grande schermo, ossia quella di un mediatore privato ingaggiato dai datori di lavoro delle vittime per trattare l'entità e la natura del riscatto da corrispondere ai rapitori. Inedita è a sua volta anche la figura del rapito, che non risiede più nella categoria del super ricco, o del nobile, bensì tra coloro che per qualche competenza vengono inviati in zone pericolose dalle aziende in cui sono impiegati. Anche gli stessi rapitori non sono i soliti meridionali con i baffoni – e forse sarà per questa ragione che la Rai non comprerà mai i diritti della serie.

    Come in altri prodotti simili
    la figura del protagonista viene costruita per dare l'impressione allo spettatore di essere fico pazzesco. La storia scritta da Patrick Harbinson (24, Law & Order) sembra centrare l'obiettivo e il nostro Dominic King, il mediatore, con il suo passato burrascoso nelle file dell'esercito, si lascia seguire nelle sue tumultuose trattative con piacere e curiosità, tanto per le sue qualità quanto per l'estemporaneo affiorare dei suoi lati oscuri.  La serie si sviluppa in modo avvincente, alternando con la giusta ritmica le azioni delle tre diverse parti in causa: il rapito, i rapitori e il mediatore. I colpi di scena non mancano e neanche una buona dose di pathos, ciò che stupisce però è il risvolto di “privatizzazione” del crimine e delle sue vicende. Il ruolo marginale in questo serial è infatti assegnato alla polizia: un intralcio nel caso di quella inglese, o alla difesa dei più deboli – una legge non scritta dello schermo fa si che l'autista di colore muoia sempre per primo senza che nessuno lo vendichi – come la controparte sudafricana.

    La serie non si fa mancare
    una sottile vena critica nei confronti di chi decide di spargere sangue innocente nella vecchia Africa mosso dal proprio interesse o da quello dei propri affari. Troppa politica, direte voi? Eppure la serie è prodotta in Inghilterra.