Il grande caos occidentale

Daniele Raineri

Ieri il Washington Post ha sostenuto con un editoriale che non c'è nessuno dentro l'Amministrazione Obama con l'incarico di avanzare un piano o una strategia per affrontare i cambiamenti che sconvolgono il medio oriente. L'accusa è grave, l'autore è Stephen J. Hadley, ex consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente George W. Bush, e quindi è possibile immaginare che ci sia una piccola percentuale di rivalsa contro i successori e il loro spaesamento. Il succo resta però lo stesso.

    Il Washington Post ha sostenuto con un editoriale che non c'è nessuno dentro l'Amministrazione Obama con l'incarico di avanzare un piano o una strategia per affrontare i cambiamenti che sconvolgono il medio oriente. L'accusa è grave, l'autore è Stephen J. Hadley, ex consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente George W. Bush, e quindi è possibile immaginare che ci sia una piccola percentuale di rivalsa contro i successori e il loro spaesamento. Il succo resta però lo stesso: Washington, e dietro di lei il resto del mondo occidentale, sembra avere perso la sua presa sugli avvenimenti.

    In cima alla lista dei grandi fatti che scivolano via per conto loro c'è il dopo rivoluzione in Egitto. L'attentato di due giorni fa contro i civili israeliani sull'autostrada 12 che porta a Eilat è un allarme che squilla quando ormai è già tardi. La squadra di attentatori palestinesi ha approfittato della penisola del Sinai come di un lungo corridoio non sorvegliato per spostarsi impunemente da Gaza, che affaccia sul Mediterraneo, fino all'estremità sud di Israele, bagnata dal Mar Rosso. Una lunga curva percorsa tutta su una parte di territorio egiziano dove il controllo pieno del governo non c'è più – come avvertono gli analisti che parlano di terra di nessuno pronta per diventare possedimento islamista, di rischio al Qaida, di retroterra strategico per i gruppi terroristici della Striscia di Gaza che aggrediscono Israele.

    Ieri un uomo dello stesso gruppo di fuoco che ha colpito sull'autostrada s'è fatto saltare vicino ad alcuni soldati egiziani, sulla linea di confine. Il giorno prima, gli elicotteri israeliani avevano ucciso per sbaglio tre militari egiziani durante la caccia a un altro terrorista della stessa banda. L'instabilità in quell'area s'è aggiunta e resterà. “Non possiamo non sentire l'eco della storia – aveva detto il presidente Obama soltanto sei mesi fa, quando le proteste pacifiche in piazza Tahrir avevano costretto alle dimissioni il rais Hosni Mubarak – la stessa eco di quando crollò il muro di Berlino”. A tutti allora era apparso chiaro che la caduta del rais era stata seguita da vicino dall'America – quasi orchestrata – passo passo assieme ai generali egiziani, che si tenevano in costante contatto telefonico con Washington. Sei mesi più tardi, il contatto di alto livello s'è rotto. Americani ed egiziani hanno appena annunciato che la colossale esercitazione Bright Star 2011, in cui i due eserciti – affiancati da contingenti di altri nove paesi europei e arabi – imparavano a manovrare assieme non ci sarà più. L'Amministrazione continua a passare al Cairo due miliardi di aiuti militari ogni anno. Eppure i tempi non sono adatti per collaborare.

    La giunta militare del Cairo si cala piano nell'isolamento e nella paranoia. Libera due famosi attivisti arrestati perché sui loro blog sono stati troppo critici, e così facendo mostra buona volontà, ma ne tiene in prigione per gli stessi motivi almeno un migliaio. Setaccia il Sinai con un grande dispiegamento di soldati per catturare estremisti e simpatizzanti di al Qaida, che però in molti casi sono gli stessi liberati pochi mesi fa dalle prigioni durante amnistie generalizzate per celebrare la fine del regime. Dichiara di volere elezioni regolari il prossimo novembre, ma vuole impedire l'accesso agli osservatori internazionali e sta lavorando per modificare la Costituzione, e così mantenere in ogni caso il controllo invisibile sulla politica.

    Sul dossier elezioni potrebbero cominciare le richieste concrete di Washington. Michael Rubin, dell'American Enterprise Institute, due giorni fa ha suggerito all'Amministrazione di esercitare ogni pressione sull'Egitto per garantire elezioni regolate da un sistema proporzionale, in cui i partiti laici, nuovi al gioco politico e meno organizzati, possano coalizzarsi per controbilanciare i numeri dei partiti islamisti – la Fratellanza musulmana, secondo gli esperti egiziani, è oggi al 25 per cento. Con un sistema maggioritario senza checks and balances, i partiti religiosi potrebbero essere troppo premiati rispetto ai loro effettivi risultati elettorali. Rubin vorrebbe anche che i soldi americani non finanziassero un paese che respinge gli osservatori internazionali alle elezioni.

    La seconda prova d'impotenza è sulla Siria. Il presidente Bashar el Assad tre giorni fa ha annunciato la fine delle operazioni delle forze di sicurezza “contro i terroristi” – come il regime definisce i gruppi dei manifestanti – ma si è trattato di una finzione per i creduli: soltanto ieri ci sono stati altri sedici morti. L'opzione militare è da escludere, per troppe ragioni, riassumibili nella constatazione che attaccare la Siria scatenerebbe un conflitto molto più vasto. Ma Washington sta tradendo troppa incertezza. Per dire che Assad deve andare via ha prima aspettato che uscisse un rapporto Onu sulle atrocità del regime e poi ha concertato una dichiarazione ovvia in coro con Ue, Francia, Germania e Gran Bretagna. L'effetto è stato poco più che simbolico. Andrew Exum, del Cnas, il think tank di politica estera più vicino a Obama, commenta così: “Ora che abbiamo chiesto al regime assassino di Assad di sloggiare, siamo pieni di tempo per contemplare i limiti del nostro potere”.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)