Tattica di logoramento

Così Gheddafi sta usando gli immigrati “come un'arma” contro la Nato

Fausto Biloslavo

“Nelle ultime settimane sono in aumento gli immigrati giunti dalla Libia, che non hanno pagato la tratta sui barconi fino a Lampedusa. Il motivo è semplice: Gheddafi usa i clandestini come un'arma” rivela al Foglio una fonte riservata della Nato. Non solo: alcuni sarebbero stati costretti a salire sulle bagnarole del mare. La “bomba” umana dei clandestini è l'arma di pressione più forte in mano al colonnello Gheddafi nei confronti dell'Europa e per prima dell'Italia. Le navi della Nato schierate di fronte alla Libia, obbligate a soccorrere i clandestini, quando li portano a bordo non sanno poi dove sbarcarli, perché nessuno li vuole.

    Tripoli. “Nelle ultime settimane sono in aumento gli immigrati giunti dalla Libia, che non hanno pagato la tratta sui barconi fino a Lampedusa. Il motivo è semplice: Gheddafi usa i clandestini come un'arma” rivela al Foglio una fonte riservata della Nato. Non solo: alcuni sarebbero stati costretti a salire sulle bagnarole del mare. La “bomba” umana dei clandestini è l'arma di pressione più forte in mano al colonnello Gheddafi nei confronti dell'Europa e per prima dell'Italia. Le navi della Nato schierate di fronte alla Libia, obbligate a soccorrere i clandestini, quando li portano a bordo non sanno poi dove sbarcarli, perché nessuno li vuole.

    L'argomento è delicato e spinoso, ma dal comando Nato di Napoli ammettono che il flusso di disgraziati alla ricerca dell'Eldorado occidentale “è un'arma di distrazione del regime nei confronti della nostra flotta al largo della Libia”.

    L'Unhcr, o l'agenzia dell'Onu per i rifugiati, ha registrato da metà gennaio ad oggi l'arrivo a Lampedusa di 49.600 immigrati, per la metà proveniente dalle coste tunisine. Dopo l'accordo del 5 aprile fra Italia e Tunisia è rimasto quasi solamente il flusso dalla Libia. Iniziato il 26 marzo, pochi giorni dopo l'attacco della Nato, ha portato in Italia 25 mila clandestini. “Fin dall'inizio avevamo notato che qualcuno sosteneva di aver pagato il passaggio per la tratta via mare e altri no, ma non abbiamo i numeri per dire se è una tendenza”  dice Isabella Cooper, portavoce di Frontex, l'agenzia europea sul controllo delle frontiere. A Lampedusa gli operatori umanitari confermano un aumento negli ultimi dieci giorni delle testimonianze di passaggi gratis dalla Libia.
    Altre fonti del Foglio rivelano addirittura che qualche disgraziato, fra gli ultimi arrivi, ha denunciato di essere stato costretto a salire a forza sui barconi. Non a caso la magistratura sta indagando per verificare le testimonianze.

    I trafficanti di uomini in Libia godono della copertura del regime, che prima della guerra li aveva sbattuti in galera o costretti alla fuga in Tunisia. “I clandestini sono usati per distogliere le navi dai loro compiti militari e creare problemi politici nei singoli paesi dell'Alleanza, a cominciare dall'Italia” spiega una fonte della Nato. A maggio il quotidiano inglese Guardian denunciò la storia della portaerei francese Charles de Gaulle, che non avrebbe soccorso un barcone di immigrati alla deriva. Agli inizi di agosto è scoppiata la polemica su un altro ipotetico mancato soccorso. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha chiesto l'apertura di un'inchiesta alla Nato. In questo caso gli immigrati in difficoltà sono stati salvati dalle motovedette partite dall'Italia, ma dietro l'utilizzo dei clandestini come arma ci sono tanti trucchi.

    A nord di Tripoli, circa 65 miglia in mezzo al mare, esiste un grappolo di piattaforme petrolifere libiche. Non sono più operative al 100 per cento, ma attorno continuano a mantenerle in vita alcune unità civili, compreso un grosso rimorchiatore che batte bandiera cipriota. Spesso i clandestini in difficoltà cercano aiuto o addirittura si aggrappano alle piattaforme dopo essere partiti dalla Libia. Nonostante il rimorchiatore abbia la poppa grande come un campetto di calcio evita di raccoglierli a bordo. Al massimo lancia in mare delle zattere e lancia una richiesta di aiuto alle navi circostanti. E da quelle parti transitano le unità della flotta Nato. Diciannove, comprese due italiane, garantiscono l'embargo navale e sono sotto il comando dell'ammiraglio Filippo Maria Foffi, imbarcato sulla nave anfibia San Giusto.

    Altre diciotto, però, soprattutto americane, britanniche, francesi, come la portaerei Charles de Gaulle, pur integrate nell'operazione contro il regime libico, Unified Protector, fanno spesso come vogliono. A tal punto che il comandante capo della missione Nato, il generale canadese Charles Bouchard, è andato più di una volta su tutte le furie. Seppure in mezzo al mare le unità della Nato non sono completamente al sicuro. Oltre alla raffica di razzi che ogni tanto sono lanciati dalla costa l'ammiraglio Foffi ha confermato, a metà giugno, che sono stati “intercettati barchini imbottiti con una tonnellata di esplosivo Semtex e tanto di manichini a bordo per farci pensare che non c'era pericolo. L'intelligence segnala che i libici potrebbero utilizzare pure i pescherecci o le bagnarole degli immigrati infiltrando qualcuno con un lanciarazzi o un giubbotto esplosivo che si fa saltare in aria quando arrivano i soccorsi”.

    Ci sono tutti i rischi di un conflitto asimmetrico, ma la legge del mare e quella internazionale impongono di soccorrere i naufraghi e le navi della Nato non si tirano indietro. Finendo, però, in un mare di guai. Il rimorchiatore cipriota che continua a lavorare per le piattaforme di Tripoli lancia ripetuti allarmi sugli immigrati in difficoltà, compreso quello dell'inizio di agosto che ha fatto intervenire le motovedette dall'Italia. Il 10 luglio, invece, la richiesta Sar (search and rescue), sempre attivata dal rimorchiatore, è arrivata alla fregata spagnola Almirante Juan de Borbón. Il barcone partito dalla Libia era strapieno e molti clandestini si sono aggrappati sulle piattaforme. I 200 marinai iberici hanno raccolto in mare 116 immigrati sistemandoli sul ponte di volo per gli elicotteri. A questo punto è iniziato il pellegrinaggio della nave da guerra Nato. Malta, uno dei porti più vicini, ha subito detto no allo sbarco degli immigrati tratti in salvo. I tunisini se ne sono presi solo tre in condizioni precarie: una donna che stava per partorire, un anziano malconcio e un bambino. La nave spagnola a lungo andare avrebbe dovuto portare gli immigrati in patria. I naufraghi raccolti in mare sono sotto la tutela della bandiera che li ha soccorsi. Alla fine le pressioni diplomatiche di Madrid e della Nato hanno piegato il governo di Tunisi che ha accolto i disgraziati, ma solo il 16 luglio. Così, per quasi una settimana, la fregata spagnola è stata distolta dai compiti di sorveglianza dell'embargo navale. A Bruxelles si sta ipotizzando un piano per piazzare grandi traghetti alla fonda davanti alla Tunisia, sotto comando europeo, dove ospitare temporaneamente i clandestini raccolti in mare dalla Nato.