I segreti del titolista che con il NyPost (di Murdoch) anticipò Twitter

Michele Masneri

Se ne va un altro pezzo dell'impero Murdoch. Ma questa volta non c'entrano gli scandali e le intercettazioni, è un mero superamento dei limiti di età: eppure il mondo dei tabloid del tycoon australiano ne risentirà comunque perché ad andare in pensione è Vincent A. Musetto, che per venticinque anni è stato il critico cinematografico di punta del New York Post. Ma Musetto è noto tra gli addetti ai lavori soprattutto per essere stato l'inventore dei più geniali titoli che il quotidiano popolare di Manhattan (l'anti New York Times per eccellenza) abbia sfornato.

    Se ne va un altro pezzo dell'impero Murdoch. Ma questa volta non c'entrano gli scandali e le intercettazioni, è un mero superamento dei limiti di età: eppure il mondo dei tabloid del tycoon australiano ne risentirà comunque perché ad andare in pensione è Vincent A. Musetto, che per venticinque anni è stato il critico cinematografico di punta del New York Post. Ma Musetto è noto tra gli addetti ai lavori soprattutto per essere stato l'inventore dei più geniali titoli che il quotidiano popolare di Manhattan (l'anti New York Times per eccellenza) abbia sfornato.

    Musetto è un fenomeno di culto tra i giornalisti e non solo, soprattutto per un titolo realizzato nel 1983 circa un delitto compiuto in un sexy bar della città: “Headless Body in Topless Bar”. Secondo il sofisticato New York Magazine, si tratta di caso da studiare nelle scuole di giornalismo, perché riassume in cinque parole una storia complessa (un malvivente entra in uno strip club del Bronx, rinchiude tutto il personale e gli avventori in un magazzino e poi uccide uno di loro, decapitandolo) e anticipa di trent'anni Twitter. In realtà Musetto non considera questo il suo capolavoro, preferendo un altro titolo passato alla storia: “Granny Executed in Her Pink Pajamas”, a proposito di un'anziana condannata a morte che per salire sulla sedia elettrica aveva scelto un pigiama rosa al posto dell'uniforme penitenziale.

    In una delle rare interviste, su People, nel 1987, Musetto rivelava i suoi ferri del mestiere: “Zap, zip, zonk, nix, questi sono verbi che funzionano. Brevi. Brevi e potenti. Devono comunicare un senso di urgenza”. I soggetti? “Bambini, incendi, pazzi, maniaci, paura (Tots, kids, fire, Madman, maniac, fear). ‘Blaze' (fuoco) va bene, ma ‘fire' è molto meglio, ed è più corto. ‘Siege' (assedio) è anche ottimo, ma la mia parola preferita è coed (qualcosa come studentessa carina). Quando leggi coed in un titolo, compri il giornale, non so perché. Forse perché senti la storia di una ragazza innocente finita in una brutta storia. E' una parola molto sexy, ispira il vecchio sporcaccione che c'è in ogni lettore”. Al titolo “Headless Body in Topless Bar” è stato dedicato persino un libro, che raduna le migliori headlines del Nyp, che spesso sono un capolavoro di ironia e di efficacia, con i caratteri cubitali su foto giganti in inchiostro di bassa qualità: sul terzo matrimonio di Donald Trump, “The Lady is a Trump”; sull'allarme antrace, su una presunta busta contenente la pericolosa sostanza, una ragazza in copertina mostra il dito medio ferito in primo piano, e il titolo è “Anthrax This!”. Su una animalista ferita nello zoo di New York da una tigre, “Eaten Alive” (mangiata viva).

    In un'altra intervista nel 1993 Musetto aveva dichiarato che “gli anni sotto Murdoch sono stati i migliori della mia vita. Potevi scrivere praticamente tutto, nessuno ti diceva niente”. L'editore australiano comprò infatti il Post nel 1976 e in quattro anni, con Musetto assistente-vicedirettore, la tiratura salì da 464 a 960 mila copie. Murdoch fu poi costretto a vendere nel 1988 per motivi di antitrust e poi ricomprò definitivamente la testata nel 1993. Ma nel frattempo Musetto era stato relegato a critico cinematografico. E negli ultimi anni si è occupato di film: sul suo profilo nella New York Film Critic Circle dichiara di essere specializzato in cinema indipendente americano ed europeo e di essere un gran frequentatore di festival, anche di quello di Roma. Il suo film preferito è “Fino all'ultimo respiro” di Jean-Luc Godard.