La casa o la vita

Perché al Cav. conviene proteggere un Tremonti azzoppato ma pugnace

Salvatore Merlo

Giulio Tremonti non ha nessuna intenzione di lasciare il ministero dell'Economia, si difende, spiega di non aver mai fatto nulla di illegale e, pur con qualche incongruenza (gli “ospiti” non pagano l'affitto), ai suoi interlocutori conferma la versione di Marco Milanese: contribuivo a pagare la casa di via di Campo Marzio. Ai colleghi di governo, che mai lo hanno amato, ieri Tremonti è sembrato meno lucido del solito – “mi dimetto da inquilino”, ha ironizzato.

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    Giulio Tremonti non ha nessuna intenzione di lasciare il ministero dell'Economia, si difende, spiega di non aver mai fatto nulla di illegale e, pur con qualche incongruenza (gli “ospiti” non pagano l'affitto), ai suoi interlocutori conferma la versione di Marco Milanese: contribuivo a pagare la casa di via di Campo Marzio. Ai colleghi di governo, che mai lo hanno amato, ieri Tremonti è sembrato meno lucido del solito – “mi dimetto da inquilino”, ha ironizzato lui. Una battuta accolta da qualche ciglio sollevato dei troppi antipatizzanti che siedono in Consiglio dei ministri. Trattandosi dello spavaldo Tremonti, il personale politico del Pdl fa fatica a distinguere le questioni personali in sospeso – mesi e mesi di sgarbi e di tagli al bilancio – da quelle politiche. Per questo è più significativo il sollievo che Silvio Berlusconi, uno che conosce le regole del gioco grosso, ha provato quando ha avuto conferma di ciò che già intuiva: Tremonti non molla. Il problema non è soltanto che un sostituto al ministero dell'Economia (ancora) non c'è; né tantomeno i dubbi risiedono nella consapevolezza di quanto possa essere rischioso un eventuale passaggio di consegne in un contesto di crisi economica e di assalto speculativo in Borsa. La verità è un'altra: al Cavaliere le cose vanno bene così. Tremonti è debole? Allora non è più una minaccia, né un contraltare di potere alla presidenza del Consiglio. Così Tremonti adesso è un prigioniero: azzoppato per esser tenuto, non per essere cacciato.

    Nei corridoi di Palazzo Chigi i ministri si lamentano, spiegano che se un caso simile fosse capitato a uno qualunque di loro non avrebbero ricevuto mai lo stesso trattamento “vellutato” riservato a Tremonti dalle opposizioni e dai giornali del centrosinistra. Ma i colleghi, che per tre anni ne hanno mal sopportato i modi, sono combattuti; sanno che in fondo quella stagione è finita, che Tremonti non è più il superministro della Finanziaria approvata in nove minuti e mezzo. Quello suonato è un Tremonti buono. Per questo il Cav. vuole che sia difeso, che resti lì dov'è il più a lungo possibile, protetto dal contesto internazionale e (forse) da Napolitano. Meno vitale di prima, ma ministro.

    Come il generale greco (ostracizzato) Temistocle. Giulio Tremonti è stato a lungo sospettato di coltivare la versione più nobile del tradimento, abbandonare cioè l'esercito berlusconiano per mettersi a disposizione di un nemico considerato più incline a riconoscergli quel talento che dal suo punto di vista nelle file del Pdl gli veniva invece ritorto contro come una colpa. Ambizioni che il ministro ormai sa di non poter più coltivare, non in questi termini, non a breve periodo. Ma se la sua debolezza ora lo rende meno insidioso agli occhi di Berlusconi e dell'entourage di Palazzo Chigi, contemporaneamente lo imprigiona in un ministero che sa di non poter lasciare adesso, non sotto i colpi di una procura della Repubblica, pena l'eclissi definitiva. Così l'impressione diffusa è che non succederà niente di clamoroso, almeno fino a settembre. La posizione del ministro è difficile, ma non ancora insostenibile e le indicazioni che il Cavaliere sta dando ai propri uomini vanno soltanto nella direzione di fare quadrato intorno a Tremonti. “Se Giulio dovesse essere costretto a dimettersi sarebbero guai. La situazione economica è difficilissima, gli equilibri troppo delicati”, dice Maurizio Gasparri.

    Il Pdl osserva con preoccupazione i fattori esterni: la procura di Napoli, Confindustria e sindacati, il Quirinale. Se un atto di sfiducia dovesse partire contro Tremonti – dicono – sarà determinato dal cortocircuito mediatico-giudiziario e dalle inclinazioni delle parti sociali e di Giorgio Napolitano. Fino a ieri Confindustria è stata un'alleato del ministro dell'Economia, così come il Quirinale da mesi – persino suo malgrado, dicono nel Pdl – ha assunto un ruolo di contrafforte per il governo periclitante. Napolitano in passato non ha mai fatto nulla per nascondere la sua simpatia nei confronti di Tremonti, quando il ministro era individuato come un possibile sostituto di Berlusconi alla presidenza del Consiglio. Ieri il presidente della Repubblica ha dato forza invece al documento con il quale Confindustria e sindacati mercoledì hanno chiesto rapide risposte alla crisi economico-speculativa che investe l'Italia. E' necessario “uno scatto”, ha detto Napolitano. Parole che, in un contesto teso – sebbene pre vacanziero – hanno fatto suonare qualche campanello di allarme nell'entourage di Berlusconi. Napolitano si prepara a dare lui il via libera alla sostituzione del ministro? L'editoriale del professore Sergio Romano, ieri sul Corriere della Sera, duro con Tremonti, non è considerato un fatto casuale, ma espressione di un terzismo culturale che si muove in sintonia anche con gli ambienti del Quirinale. L'obiettivo più grosso è il Cavaliere, ma per arrivarci forse si deve passare da Tremonti.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.