In arrivo piogge di monetine e manette, istruzioni per ripararsi

Guido Vitiello

"Ahard rain's a-gonna fall”, cantava Bob Dylan, una dura pioggia cadrà. Molti pensarono che annunciasse una pioggia radioattiva (era il 1963), ma lui smentì, disse che era un generico finimondo, e che il verso sulle “pallottole di veleno che intorbidano le acque” si riferiva semmai alle menzogne dei giornali. Di certo, non c'è pioggia più dura – stando al peso specifico dei goccioloni – né più invocata dalle pallottole velenose della stampa di quella che minaccia di abbattersi sull'Italia.

    "Ahard rain's a-gonna fall”, cantava Bob Dylan, una dura pioggia cadrà. Molti pensarono che annunciasse una pioggia radioattiva (era il 1963), ma lui smentì, disse che era un generico finimondo, e che il verso sulle “pallottole di veleno che intorbidano le acque” si riferiva semmai alle menzogne dei giornali.

    Di certo, non c'è pioggia più dura – stando al peso specifico dei goccioloni – né più invocata dalle pallottole velenose della stampa di quella che minaccia di abbattersi sull'Italia: la pioggia delle monetine. Già i cavalli annusano la terra, e certe nuvolacce grigie si addensano sull'orizzonte. Qualche mese fa, una celebrata vedette del giornalismo che ha l'abitudine di intrattenere le scolaresche in giro per l'Italia, si rivolse a una folla di studenti accucciati dicendo che “era un paese sano quello che lanciava le monetine”.

    A quanto pare, il malato si sta riavendo dalla lunga degenza. Certo, si dirà, per il popolo della rete le monete sono un po' démodé, ma a meno che in Molise non si stiano preparando campi di addestramento per lanciare le Mastercard come stellette ninja, è a quelle che dobbiamo prepararci. Di piccolo taglio, beninteso, perché i valori sono importanti.

    Ormai non si tratta di scongiurare la pioggia che viene. Non più. Ce n'erano i tempi, i modi e le occasioni, ma una classe politica sciagurata ha fatto del suo meglio per attirarsi il diluvio, e ora tutto quel che le resta sono scelte di stile e di eleganza. Anzi, è probabile che molti stiano già facendo le prove allo specchio. Che faccia farò, scendendo le scale, sotto le gocce placcate in rame da uno, due e cinque centesimi? Intonerò “Singin' in the Rain”? Le opzioni sono molte, ma c'è da giurare che i più stiano considerando, con qualche fantasia di grandeur, la via di Craxi: uscire spavaldi, a testa alta, dalla porta principale. Se lo scordino. Nessuno di loro ne ha la statura – nel bene e neppure nel male – e ci costringerebbero ad assistere a un tristissimo diciotto brumaio, all'ennesima tragedia volta in farsa. Tocca inventarsi qualcos'altro, qualcosa da lasciare con un palmo di naso la turba dei citoyens inferociti. Qualcosa di dadaista.

    Se la storia non è magistra di niente che ci riguardi, come diceva Montale, proviamo con l'antropologia. Certo, il problema dei popoli primitivi non era passare dalla Prima alla Seconda Repubblica o dalla seconda alla Terza, ma molti traumatici passaggi di stato – pubertà, matrimonio, anno nuovo – erano accompagnati da un sacrificio o da un linciaggio, reale o simulato. Il riso gettato agli sposi, nei nostri riti nuziali, ne serba un'eco sotto forma di una lapidazione benaugurante. E' una prima opzione: scendere la scalinata di Montecitorio in abito da sposa, lanciando larghi sorrisi a destra e a manca, sbattendo le ciglia sotto la pioggia di monetine. Da raccomandare in specie agli onorevoli barbuti: una scena degna di Buñuel.

    I più seriosi prendano invece la via del martirologio, e si ispirino a un episodio della vita del maestro pagano Apollonio di Tiana, che per scacciare la pestilenza da Efeso invitò i seguaci a lapidare un mendicante: ma quando videro emergere il cadavere dalle pietre sanguinante, irriconoscibile, quasi non più umano, presero a temerlo come un demone o un dio. Ecco, starsene sotto la pioggia di monetine per poi incombere sui linciatori come un'apparizione fascinosa e tremenda: gli adepti del fatto costretti a riconoscere il miracolo. Ma a pensarci bene, ci provò già un tale colpito in faccia da una statuetta del Duomo di Milano, e la cosa non venne bene.

    Resta un'ultima opzione. La dobbiamo a un eretico cristiano del nostro secolo, Marco Pannella. Doveva essere il 1994 o il 1995 quando si trovò sotto un estemporaneo lancio di monetine, durante un corteo sindacale. Ebbene, che cosa fece? Si chinò paziente a raccoglierle, una ad una, e se le mise in tasca. Le usò, c'è da credere, per finanziare qualche campagna radicale. Eccolo, il nostro consiglio per la pioggia che viene: chi non ha i titoli per fare come Craxi, trovi in sé l'umiltà per fare come Pannella.