Un cretino apocalittico

Redazione

La domanda dopo le stragi nelle scuole di Columbine e Virginia Tech fu perché in America succedano con tale frequenza episodi di questo tipo. La risposta è sempre stata la stessa: la proliferazione di armi automatiche. Come è stato possibile che la Norvegia, un paese dove i poliziotti vanno in giro senza pistole perché il paese si crede “in pace”, si sia svegliata venerdì con l'Apocalisse che portava il nome della piccola isola di Utoya? La domanda l'ha posta molto bene Michael Burleigh sul Daily Telegraph, decifrando il volto oscuro del paese scandinavo.

    La domanda dopo le stragi nelle scuole di Columbine e Virginia Tech fu perché in America succedano con tale frequenza episodi di questo tipo. La risposta è sempre stata la stessa: la proliferazione di armi automatiche. Come è stato possibile che la Norvegia, un paese dove i poliziotti vanno in giro senza pistole perché il paese si crede “in pace”, si sia svegliata venerdì con l'Apocalisse che portava il nome della piccola isola di Utoya? La domanda l'ha posta molto bene Michael Burleigh sul Daily Telegraph, decifrando il volto oscuro del paese scandinavo.

    Trovare una spiegazione alla strage di Anders Breivik non è semplice. Ma liquidare l'eccidio con l'emergenza legata all'islam in Europa, a letture massonico-templari bellicose, al pericolo della critica multiculturale, dare patenti intellettuali a un claustrofobico sanguinario come Breivik, è solo una forma di paranoia intellettuale. La critica al modello europeo di integrazione ha trovato casa da anni nelle classi dirigenti europee e un po' tutti, da Angela Merkel a David Cameron fino a Nicolas Sarkozy, hanno messo in discussione il multiculturalismo. Lo stesso vale per una parte della classe intellettuale, da Niall Ferguson a Paul Johnson, dall'Economist, che a Eurabia ha dedicato una copertina, all'eurocommissario sotto Romano Prodi, Fritz Bolkestein. L'assassino norvegese non ha falciato cento musulmani in una moschea di Oslo. Non voleva scatenare una guerra etnico-religiosa. Era animato dall'odio di sé, voleva deturpare il volto della società in cui ha vissuto e che lo ha partorito, sterminando i compagni di studi, i ragazzi accampati nell'isola della convivenza, i figli e le figlie dei politici laburisti tanto odiati. Breivik non era a capo di un movimento capace di minare i princìpi di una solida democrazia avanzata, come il rispetto delle opinioni altrui, l'eguaglianza fra sessi, la dignità della persona, la laicità delle istituzioni.

    Quando Volkert van der Graaf, aiutato forse da frange dell'ecologismo, assassinò in Olanda Pim Fortuyn, anch'egli critico severo del multiculturalismo, non ci fu una caccia alle streghe contro la cultura animalista, liberal, vegetariana, perbenista e patologicamente corretta che aveva spinto quel ragazzo coi sandali ad abbattere con un colpo alla nuca l'“Olandese volante”. La stessa morigeratezza intellettuale va esercitata adesso sul caso Breivik. Il dato interessante è semmai la Norvegia, che si era illusa, dopo la guerra e in un'epoca di intensi conflitti ideologico-religiosi, di aver debellato per sempre l'intolleranza, la prevaricazione politica, l'odio, il terrore. Un paese che svettava da anni negli indici di felicità mondiali e che aveva costruito un modello ideale di welfare, solidarietà e accoglienza. Il killer di Utoya è soltanto un cretino apocalittico.