Casa Murdoch

Paola Peduzzi

Anche se è una persona generalmente molto piacevole, Rupert Murdoch non è leale a niente e a nessuno, se non alla sua azienda. Fa fatica a mantenere le amicizie; non mantiene la parola data per troppo tempo; sfrutta a suo vantaggio i guai degli altri; e ha tradito ogni leader politico che lo ha aiutato in tutti i paesi in cui opera, eccetto Ronald Reagan e forse Tony Blair. E' per istinto vicino a quello che pensa la gente, non è soltanto uno bravo con il sensazionalismo da tabloid, ma è un infido creatore di falsi miti, un assassino della dignità degli altri e di istituzioni rispettabili, il tutto sotto le sembianze di uno che è contro le élite.

    Anche se è una persona generalmente molto piacevole, Rupert Murdoch non è leale a niente e a nessuno, se non alla sua azienda. Fa fatica a mantenere le amicizie; non mantiene la parola data per troppo tempo; sfrutta a suo vantaggio i guai degli altri; e ha tradito ogni leader politico che lo ha aiutato in tutti i paesi in cui opera, eccetto Ronald Reagan e forse Tony Blair. E' per istinto vicino a quello che pensa la gente, non è soltanto uno bravo con il sensazionalismo da tabloid, ma è un infido creatore di falsi miti, un assassino della dignità degli altri e di istituzioni rispettabili, il tutto sotto le sembianze di uno che è contro le élite. Si traveste da pilastro della contemporaneità, del populismo illuminato nel Regno Unito e del conservatorismo sensibile negli Stati Uniti, anche se ha per anni baciato il didietro dell'apparato di governo di Pechino. La sua idea di intrattenimento e di valori civici è quella immortalata nei Simpsons: tutti i pubblici ufficiali sono degli imbroglioni e il pubblico è sottoproletariato ignorante. Non c'è nulla di illegale in tutto questo, anzi ci sono aspetti divertenti, ma è piuttosto sconveniente che uno così sia diventato così importante e l'oggetto di tanta deferenza”.

    Queste sono le parole che Conrad Black, spregiudicato tycoon dei media che ha passato buona parte degli ultimi anni in galera, ha usato per descrivere Murdoch, il fondatore di News Corp., in un bell'articolo ieri sul Financial Times. “A great bad man”, come Napoleone: ecco Rupert Murdoch. E' per questo che ora tutti i suoi nemici – nel Regno Unito, negli Stati Uniti e anche nella natìa Australia – tirano su la testa, ostentano indipendenza, si prendono la rivincita. Lo scandalo delle intercettazioni illegali assume ogni giorno di più le sembianze di una resa dei conti. Ieri è stato arrestato l'ex vicedirettore di News of the World, Neill Wallis, consulente della polizia e numero due di quell'Andy Coulson che il premier, David Cameron, volle come suo capo della comunicazione – ora pare contro il parere di tutti, visto che non c'è politico che non abbia dichiarato in qualche intervista “io gliel'avevo detto che finiva male” – e che è stato anche lui arrestato. L'obiettivo ultimo di questa nuova ondata di arresti (se ne prevedono altri) è il management di News International, la filiale britannica di News Corp., che secondo l'accusa non poteva non sapere. Rebekah Brooks, la dama dai riccioli rossi che Murdoch difende senza la minima esitazione (più di tutti, più dei suoi stessi figli, chissà le gelosie), ha risposto alla commissione parlamentare che l'ha convocata per testimoniare martedì prossimo che vuole collaborare con l'inchiesta, se può fornire altro materiale, chiedete e vi sarà dato. Rebekah è cittadina britannica, non può sfuggire alla convocazione: Rupert e il figlio-erede James sì. Inizialmente hanno declinato l'invito – il padre ha detto che martedì proprio non poteva; il figlio ha spiegato che la settimana prossima era impossibile trovare un po' di tempo, il 10 o l'11 agosto potevano andare bene? –, ma il Parlamento non si è dato per vinto: ha inviato Jill Pay, Serjeant at Arms, responsabile dell'ordine pubblico dei Comuni, a Wapping per consegnare personalmente ai due Murdoch l'ordine di comparizione (pare che Pay non fosse vestito con la tenuta delle grandi occasioni, è partito in fretta e per l'abito non si è fatto in tempo). Rupert non è cittadino britannico, la convocazione per lui non è vincolante, per James già di più (ha doppia cittadinanza) e così, dopo una giornata d'attesa, hanno scelto il male minore: andranno a testimoniare. Sul campo hanno già lasciato due cadaveri: quello di News of the World e quello dell'offerta per l'acquisto di BSkyB. Ma ancora non basta: là fuori c'è qualcuno che è più famelico dello squalo.

    Rupert Murdoch è fedele soltanto alla sua azienda.
    Per salvarla è disposto a sacrificare tutto, come sa bene il suo primogenito Lachlan, prima designato e poi espulso. Ora è il momento di James: adesso è lui il più vulnerabile. Secondo il New York Times, c'è stato uno scontro tra papà e figlio sulla questione BSkyB. James è stato direttore dell'emittente satellitare per tanto tempo (News International ne detiene più del 35 per cento, molti da tempo chiedono perché fare tanto rumore per avere la quota di maggioranza quando già c'è un controllo di fatto) e si è speso in tutti modi presso Downing Street per ottenere il via libera al takeover. Il gruppo ci teneva parecchio, James più di tutti. Ma papà ha capito che insistere avrebbe causato soltanto guai: sono tutti lì ad aspettare pezzi di Murdoch da masticare in pubblico, non è il caso di mostrare le ferite. Così ha detto: si fa come dico io, James, abbandoniamo BSkyB. Ma gliel'ha detto quando ormai aveva deciso, così un rivolo di sangue del figlio è scivolato via, e la sua vulnerabilità è finita in prima pagina: può James ereditare l'impero? Secondo una definizione lapidaria riportata da Tina Brown, direttrice di Newsweek e The Daily Beast, il giovane Murdoch è “sempre decisionista, spesso nel torto”, che è come dire che non sarà mai all'altezza del compito che il re gli avrebbe riservato. Se è vero quel che Michael Wolff ha scritto nella biografia dello squalo nel 2008 – “The Man Who Owns the News: Inside the Secret World of Rupert Murdoch” – Rupert è il primo a sapere che News Corp. va difesa prima di tutto dai suoi figli e dalle faide familiari (cui lui ha contribuito grandemente innamorandosi di una donna che ha la metà dei suoi anni, Wendi, sposandola nel 1999, mettendo al mondo con lei altre due figlie).

    Le storie di famiglia sono già leggenda, La primogenita Prudence, figlia della prima moglie, si è vendicata del resto della famiglia nel 1999, rilasciando un'intervista sul Sydney Morning Herald (giornale concorrente) dal titolo “La figlia dimenticata”. Nel 1997, Rupert, in una conferenza stampa, aveva parlato della sua successione riferendosi ai “tre figli”, dimenticando Prudence che raccontò (dopo due anni di rimuginamenti, poi dice la vendetta fredda): “Ebbi la più grande lite mai avuta con mia padre. Gli telefonai, urlai, piansi, buttai giù il telefono. Lui era molto arrabbiato. Poi spedì dei fiori, un mazzo più grande di un divano, e due alberelli di mandarini”. L'altra figlia, Elizabeth, ha dieci anni meno della sorellastra, suo padre non ha mai davvero voluto sapere che cosa le accadeva, nemmeno quando da adolescente bisognava andarla a recuperare perché si ubriacava spesso (era il poliziotto buono, Rupert), e ha fatto fin da subito lavorare nel gruppo il suo primo marito – fa così, Rupert, con le figlie: assolda i mariti – e poi lei si è innamorata dell'uomo più mondano di Londra, il nipote di Freud, Matthew – ed è in quel salotto che si è impiastricciata le mani di murdocchismo la più parte dei politici britannici.

    Lachlan, il primo figlio maschio, è la versione australiana del principe William d'Inghilterra (ha una moglie bellissima, impegnata nella beneficenza), e ha lasciato a soli trentatré anni il gruppo, dopo uno scontro frontale con Roger Ailes, megacapo di Fox News, uno dei manager più di successo del decennio, che gli è stato, senza sorprese, fatale (in questi giorni londinesi durissimi, Lachlan è corso da papà, è spesso immortalato al suo fianco). E poi c'è James, quello serio, quello poco mondano, quello che ha lavorato fin da subito sodo per diventare il prescelto, quello che da pochi mesi è stato nominato a capo di Europa e Asia, con un trasferimento a New York, al fianco di papà, il quale ormai non ama muoversi da Manhattan – così vuole Wendi. Perché ovviamente è lei la padrona di casa: Rupert sarà pure il genio malvagio dell'editoria (con una passione romantica per la carta stampata che non ha ormai più nessuno, certo non James) dall'istinto pop e assassino, ma di fronte a Wendi diventa docile e mansueto. Lei conosce il suo potere, si fa spazio nella famiglia, ignorando le chiacchiere di quei figli che hanno la sua età e la detestano. Un ritratto del Wall Street Journal, quando ancora ovviamente non era di proprietà, la dipingeva come “una ragazza cinese senza morale e senza prospettive, che usa il sesso e altre abilità manipolatorie per crearsi delle occasioni”.

    Da allora è passato molto tempo, Wendi produce film e Rupert ha messo ordine in famiglia. Ma poiché sa di essere un uomo eccezionale scivolato nell'ordinarietà della storia d'amore tardiva, si è tutelato. L'azienda prima di tutto. Se James non è all'altezza, o peggio ancora finisce nell'inchiesta, se Rebekah l'adorata non supera indenne la persecuzione mediatica cui è sottoposta, c'è pronto Chase Carey, un signore tostissimo e affabile che farebbe di tutto per attirare l'attenzione (bastano i suoi baffi per capirlo); uno che ha formato per anni i figli del capo, sorridente e generoso; uno che tutti conoscono come “the cleaner”, quello che risolve i problemi.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi