Sogno di un golasso di mezza estate

Beppe Di Corrado

A nessuno interessa la coppa America. Comincia un torneo che si chiude in una partita e che diventa evento solo se quella partita c'è. Perché non conta nulla: né chi partecipa, né chi vince, né i giovani che ci faranno vedere. C'è Argentina-Brasile e basta. Quarti, semifinale, o finale. Non è importante il momento del torneo, l'importante è che ci sia. E' l'incrocio che cambia il destino della Coppa. E' tutto, è la sintesi del pallone globale.

    A nessuno interessa la coppa America. Comincia un torneo che si chiude in una partita e che diventa evento solo se quella partita c'è. Perché non conta nulla: né chi partecipa, né chi vince, né i giovani che ci faranno vedere. C'è Argentina-Brasile e basta. Quarti, semifinale, o finale. Non è importante il momento del torneo, l'importante è che ci sia. E' l'incrocio che cambia il destino della Coppa. E' tutto, è la sintesi del pallone globale: coinvolge due scuole di pensiero e di pallone, tiene dentro la serie A, la Liga, la Premier league, la Bundesliga, racchiude l'identità doppia del Sudamerica fatta di indigeni e colonialisti, di autoctoni e immigrati, parla di calcio e poi di altro: vita, società, politica, futuro.

    Argentina-Brasile è il godimento massimo. Forse non c'è derby di Nazionali più importante, popolare e intrigante di questo. Italia-Germania conta per noi e per i tedeschi, Inghilterra-Argentina ha un valore simbolico da una trentina d'anni, Portogallo-Spagna è una sfida da cortile di casa. Argentina-Brasile è di più. Il calcio oltre il calcio senza uscire dal calcio: non c'è stata una guerra che ha alimentato odio e rancore, non c'è una storia di riscatto degli emigrati da un paese all'altro. E' una rivalità calcistica che dopo s'è trasformata in sfida totale. Nasce sul campo, nasce dall'idea stessa di calcio e dalla sua interpretazione. Non c'è nulla che accomuni l'idea di pallone dei brasiliani e quella degli argentini. C'è la passione identica, sì. Poi c'è uno sviluppo proprio e simmetricamente opposto rispetto all'altro.

    La coppa America comincia venerdì prossimo a La Plata: Argentina-Bolivia è la partita. Ventitré giorni in attesa che si materializzi l'incrocio che tutti vogliono, che tutti aspettano, che tutti sanno essere l'unico motivo per cui il torneo abbia un senso. Non esiste Sudamerica senza Brasile-Argentina. E' come il pane e frittata senza pane e frittata, per dirla alla Rocco Papaleo. E' il nulla. Vuoto il torneo e vuota anche l'estate dell'unico anno dispari degli ultimi quattro che abbia un senso.

    Perché la coppa America interrompe l'agonia di chi sente di non poter vivere senza pallone anche quando non ci sono mondiali ed europei. Argentina-Brasile è una libidine, come l'ha definita qualche tempo fa Ricardo Romani: “Se ami il calcio, ci sono poche libidini più intense di un Brasile-Argentina. Al termine di tre settimane di gare sovente mediocri, la sfida tra queste scuole tira una mano di vernice brillante sull'edizione venezuelana del torneo fatta di buone intenzioni, molta propaganda politica, e un livello organizzativo da Olimpiade a Riccione. Il bello di questa finale è che non si parla più degli assenti (Kaká eccetera). E' l'Argentina-Brasile dei ventenni, Messi da una parte, Robinho dall'altra. Chi sta meglio si porta casa coppa e onore. Soprattutto l'onore perché in Sudamerica questa partita è un dannato affare d'orgoglio. Obbligatorio schierarsi, con preferenza per i brasiliani, se non altro per la storica spocchia degli argentini che annunciarono la prima sfida contro i carioca, anno 1914, con l'edificante titolo di giornale: ‘Arrivano i macachi'. La parte nera del Continente, predominante, sa con chi stare, anche se l'eterno dubbio (meglio Pelé o Maradona?) non si scioglierà mai”.

    Era il 2007, cioè l'ultima coppa America prima di questa e sembra non essere cambiato molto: il simbolo dell'Argentina è sempre Lionel, quello del Brasile è diventato Neymar. Ventenni allora, ventenni oggi. Facce e persone non fanno la differenza in una sfida che alimenta i sogni del mercato da quando esiste. Di tutti i motivi che trasformano questo incrocio possibile nell'unico evento vero di tutta la Coppa America, quello delle facce nuove da vedere, scoprire, osservare è il migliore: finora chi ha visto giocare Ganso? Eccolo, il momento. E non va bene Brasile-Cile o qualunque altro match della Coppa: serve il confronto con l'Argentina, serve la sfida delle sfide, lo scontro pallonaro-ideale-culturale-passionale-politico-economico che c'è ogni volta che scendono in campo queste squadre.

    Sono due mondi calcistici diversi, sono il bianco e il nero, sono l'opposto che guarda l'altro e si ricongiunge al centro. E il centro è il pallone. Questa è una rivalità anche ideologica che dura quasi un secolo e coinvolge tutto il mezzo continente sudamericano. Perché è una questione di amicizie e antipatie. I cileni odiano gli argentini, per esempio. Uruguaiani e peruviani, invece, detestano i brasiliani. Allora si dice, si mormora, si accavallano storie su storie. Io faccio un favore a uno per danneggiare l'altro, oppure io gioco alla morte per aiutare i miei amici. Argentina-Brasile, in ordine alfabetico, non toglie mai. Aggiunge. Sempre e da sempre.

    L'ha scritto il Corriere della Sera qualche tempo fa: “La storia comincia il 20 settembre 1914, in amichevole, con trionfo argentino: 3-0. Una settimana dopo, si rigioca a Buenos Aires per la Copa Roca, ideata per mettere di fronte le due nazionali e stavolta vince la Seleção (1-0): segna Rubens Sales e in squadra c'è Arthur Friedenreich, classe 1892, padre tedesco, madre mulatta, attaccante capace di segnare in carriera più gol di Pelé: 1.329. La prima volta in coppa America finisce invece in parità: 1-1. E' il 10 luglio 1916 e nessuno immagina che il Brasile si trascinerà un complesso di inferiorità terribile: trova nella finale della coppa gli argentini per otto volte e perde sempre. La svolta arriva alla nona puntata: 25 luglio 2004, a Lima, l'Argentina è in vantaggio (2-1) e pensa di avere ormai vinto. Invece Adriano, al 47' della ripresa, trova il pareggio e il colpo che mette al tappeto gli argentini: disperati e increduli perdono ai rigori. Bisogna aspettare il 30 giugno ‘74 per vedere finalmente Argentina-Brasile in un Mondiale. Si gioca ad Hannover: gli argentini hanno eliminato (con la Polonia) l'Italia nella prima fase, ma vince la Seleção (finirà quarta), molto lontana nel rendimento da quella magnifica che aveva vinto la Coppa Rimet nel ‘70. È pallido anche il confronto del ‘78: l' Argentina che deve arrivare a tutti i costi in finale si accontenta dello 0-0. Quattro anni dopo, 1 luglio ‘82, la squadra di Telé Santana, con Falcão e Junior, Toninho Cerezo e Socrates, Zico e Eder chiude l'avventura di Maradona e compagni e le basta un pari per arrivare in semifinale. Invece verrà travolta dal ciclone Paolo Rossi. Nell'ultima sfida mondiale si consuma il dramma del Brasile, che esce di scena negli ottavi: Torino, 24 giugno ‘90, Caniggia, lanciato da Maradona, scappa via in contropiede. Fine dell'avventura di Lazaroni in panchina. Sono ventun anni che questo derby non si gioca in un mondiale. Due decenni: il calcio è cambiato, la rivalitò no. E' come se fosse sempre Argentina-Brasile, anche quando non c'è. E' una sfida di fatto: il solo pensiero che si possa essere tiene in allarme tutti. Quella partita di Torino, poi, non è mai davvero finita. Torna ciclicamente nei ricordi, riemerge dal passato di un odio capace di qualunque cosa. C'è la storia di Branco che non s'è chiusa. Lui, il terzino che giocò nel Genoa e che il mondo ricorderà per le sue punizioni, subito dopo la partita tirò fuori questi concetti: “Gli argentini mi hanno drogato. Mi hanno fatto bere un Gatorade tarocco, aveva un sapore strano, l'ho bevuto e mi sono sentito male. Hanno cercato di ammosciarmi, mi hanno rimbambito, lo volete capire o no?”. Aveva fatto sorridere il mondo: bella scusa, avevano pensato. Persino il presidente della Federcalcio brasiliana, Jorge Salgado, lo aveva trattato come un mezzo cialtrone: “Macché droga, Branco stava male per lo stress. Ricorso alla Fifa? Non credo proprio...”.

    Il calcio dei Paoloni, invece, è esistito anche lì. L'avvelenatore, però, non era un portiere indebitato e un po' fuori di testa. L'abbiamo scoperto nel 2004, quattordici anni dopo: Branco fu drogato, davvero. Aveva chiesto da bere alla panchina argentina e davvero gli fu data una bottiglietta speciale riservata ai brasiliani di passaggio. Davvero accadde ciò che Branco raccontò a fine partita: “A un certo punto si è avvicinato alla panchina l'argentino Olarticoechea che ha fatto per bere da quella bottiglietta. Maradona gli ha gridato: no, prendine un'altra”. L'ha raccontato Diego, non una fonte misteriosa e oscura. L'ha fatto nel 2004, in tv, durante lo show “Mar de Fondo” sul canale argentino TyC Sports. In studio c'erano anche Ariel Ortega e Gabriel Omar Batistuta come ospiti. Maradona ha aggiunto dettagli: “I brasiliani venivano a bere alla nostra panchina. Quando è venuto Branco gli ho detto ‘Valdito bevi pure' e lui si è scolato tutta l'acqua. Poi è venuto anche Olarticoechea e allora gli ho gridato ‘no, no, da quel bidoncino no' . Da quel momento Branco, stralunato, tirava le punizioni e stramazzava a terra. Qualcuno aveva messo nell'acqua un Roipnol'”. Era un sedativo, esattamente come per i giocatori della Cremonese. Solo che all'epoca non c'era in ballo una partita della Lega Pro, ma un ottavo di finale Mondiale. Le lamentele del terzino brasiliano arrivarono in sala stampa.

    Chiesero anche a Diego e lui lo umiliò: “Spero di bere acqua miracolosa così vinceremo sempre. Cerchiamo di essere seri”.
    Lui era serissimo, d'altronde. Così serio che se l'è tenuto dentro quattordici anni quel segreto. In ballo c'era il mondiale e poi il mondo. Due cose simili eppure diverse. Perché Argentina-Brasile è ancora di più. Il calcio ha fatto da apripista a una sfida che è diventata complessa e complessiva. Oggi di fronte ci sono due paesi che vivono il loro modo di stare sul pianeta in maniera molto differente: l'Argentina si lecca ancora le ferite della crisi economica che ha stravolto la sua identità sociale e finanziaria; il Brasile si gode il momento di massimo splendore e rigoglio economico della sua storia. I due mondi opposti, però, una volta sono stati molto vicini. E' successo sei anni fa: Brasile e Argentina siglarono all'Onu una alleanza inedita il cui obiettivo era dividersi un seggio nel Consiglio di sicurezza. I due maggiori paesi del continente annunciarono un'ampia cooperazione in politica estera, che avrebbe dovuto sfociare in decisioni e posizioni congiunte alle Nazioni Unite. Un rappresentante argentino sedeva nella delegazione brasiliana all'interno del Consiglio di sicurezza.

    All'epoca, Rocco Cotroneo scrisse così: “L'intesa era stata definita in un incontro tra i due presidenti, Luiz Inácio Lula da Silva e Néstor Kirchner. Le cancellerie hanno parlato di accordo “storico”, che rappresenta solo “un primo passo” verso un'azione diplomatica comune. Alcuni osservatori esterni, soprattutto in Argentina, hanno espresso invece qualche dubbio. I due paesi non si sono impegnati a votare insieme su tutte le risoluzioni, né sarebbe facile prendere una decisione del genere a priori. Gli sviluppi futuri sono ancora nebulosi. Il modello però suscita interesse ed è un passo che stempera vecchie tensioni, sia in campo diplomatico che economico-commerciale. L'elezione quasi contemporanea di due leader carismatici come Lula e Kirchner ha fatto ripartire da zero i rapporti tra i due paesi, che erano stati assai tesi negli ultimi anni. Entrambi i leader sono stati eletti su una piattaforma di orgoglio continentale: nessun allineamento automatico agli Stati Uniti, più grinta nelle richieste commerciali e, come primo obiettivo, il rilancio del Mercosur, l'unione economica che era sul punto di sfasciarsi”.

    La politica meglio del calcio, oppure peggio. Perché nessuno ha capito come possa legarsi l'idea di un accoppiata Argentina-Brasile se ogni sfida pallonara diventa pretesto per riaccendere un conflitto sociale e culturale che riposiziona i due paesi agli antipodi. Se non bastassero tutte le partite e tutti gli psicodrammi che si sono trascinati appresso in un secolo, allora ecco la rivalità Pelé-Maradona che ciclicamente torna ad attizzare il fuoco. Ogni volta che parlano l'uno dell'altro finisce in rissa: è la sintesi perfetta dello straderby del Sudamerica. La Fifa, pensando di non far torto a nessuno, qualche anno fa ha sciolto il nodo decidendo di non decidere. Tipico. Nel 2003, a Roma, ha assegnato il premio al calciatore del secolo (il Novecento): il manuale Cencelli del pallone ha stabilito che i giocatori del secolo erano due. Perfetto: andate e moltiplicatevi. Oppure: scannatevi, tanto poi ci pensiamo noi a risolvere tutto a tarallucci e vino. Il migliore per la gente che votava su Internet era Diego Armando Maradona. Il migliore, per i cosiddetti grandi elettori, era Pelé. Blatter non avrebbe potuto accettare che il rappresentante massimo dello sport che considera di sua proprietà sarebbe stato il suo peggior nemico. Allora tutti e due, tanto per tenere su quel duello infinito che è Argentina-Brasile.

    La Fifa fa il suo, sempre. Le federazioni aggiungono, i calciatori fanno il resto. Anche senza le sparate di Maradona e Pelé, l'incrocio che rende interessante la Coppa America è sempre un ring. L'ipotesi che la sfida possa arrivare in finale è un sogno per le televisioni ed è una tragedia per i commissari tecnici delle squadre: perdere significherebbe un'onta incredibilmente peggiore che l'eliminazione ai quarti o in semifinale. Allora botte vere e botte metaforiche. Come in Perù. Alla vigilia della finale i due tecnici si presentarono con più scongiuri che tattiche. Parreira così: “Siamo qua per scoprire qualche faccia nuova per il futuro.

    Siamo sereni. La pressione è tutta su di loro. Noi siamo già contenti così”. E Bielsa così: “Loro sono il Brasile, hanno storia e reputazione. Noi li attaccheremo, ma sono loro che rischiano di più”. Più falsi di qualunque falso. La coppa America prevede anche questo, perché è diversa dal Mondiale. Lì c'è il pianeta che guarda, qui c'è un Continente e poi di riflesso tutti gli altri: non è la stessa cosa. Quando giochi nel cortile di casa non parli come quando giochi a Wembley, no? E per loro, per tutti in Argentina e Brasile, il Sudamerica è proprio il cortile. Il problema è che ognuno pensa che debba essere suo.