Ministeri al nord, ecco perché la Costituzione non c'entra niente

Giulia De Matteo

Alla vigilia della verifica in Senato chiesta da Napolitano, mentre Silvio Berlusconi lima le ultime battute del suo discorso in Aula, una parte della maggioranza è impegnata con la Lega sulla proposta di Bossi di trasferire la sede di alcuni ministeri al nord Italia. Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, esclude in nome di una incompatibilità costituzionale la richiesta del Carroccio, ma, come spiega il professore Tommaso Edoardo Frosini, “la proposta di per sé non è contro la Costituzione".

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    Alla vigilia dalla verifica in Senato chiesta dal presidente Giorgio Napolitano, mentre Silvio Berlusconi lima le ultime battute del suo discorso in Aula, una parte della maggioranza è impegnata con la Lega sulla proposta di Bossi di trasferire la sede di alcuni ministeri al nord Italia. Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, esclude in nome di una incompatibilità costituzionale la richiesta del Carroccio: “Il ruolo di Roma capitale è sancito dalla Costituzione e anche dall'accordo elettorale che ha fatto nascere il centrodestra”. Attinge dalla Carta anche il presidente della regione Lazio, Renata Polverini, che ha organizzato davanti al Pantheon a Roma una raccolta firme per una petizione popolare contro “lo spostamento di un numero indefinito di ministeri da Roma capitale loro sede naturale prevista dalla Costituzione e da apposite norme di legge”.

    Ma, come spiega al Foglio.it il professore Tommaso Edoardo Frosini, ordinario di Diritto pubblico comparato presso Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, il decentramento di alcuni ministeri al nord rappresenta uno snodo tutto politico, e non giuridico. “La proposta di per sé non è contro la Costituzione, si tratta di una scelta di opportunità politico-amministrativa”. L'unità e l'indivisibilità della Repubblica convivono con il più ampio decentramento amministrativo nell'articolo 5 della Carta . “Le difficoltà pertanto – aggiunge Frosini – sono di tipo logistico: sarebbe complicato trasferire il personale, gli uffici, e le trasferte da Roma, ma – ribadisce – non sono di natura legislativa o costituzionale, anzi risultano pienamente compatibili e attuabili con un decreto del consiglio dei ministri”.

    Quali ragioni spingono soprattutto la componente laziale del Pdl a osteggiare la proposta leghista? Per il deputato pdl Fabio Rampelli, romano, “c'è anche una questione simbolica: è giusto rafforzare l'unità del paese – dice al Foglio.it – federalismo e decentramento sono condivisibili ma le sedi dei ministeri devono stare nella capitale, senza escludere la possibilità di aumentare la presenza di uffici distaccati dello stato”. L'allergia alle richieste leghiste, per Rampelli ha più di una ragione: “Realizzare il trasferimento dei ministeri rappresenta una spesa in più che non ci possiamo permettere e non tiene conto del fatto che nei ministeri ci lavorano persone che sarebbero costrette alla mobilità”.

    Su questo piano argomentativo era intervenuto anche il presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni: “Bisogna andare verso la direzione di un governo reticolare. Non si tratta brutalmente e banalmente di spostare un ministero da una parte all'altra dell'Italia, ma di avviare una riflessione sul governo reticolare del paese. E' una cosa complessa, riguarda la governance del paese”. Per il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini: “Non c'è bisogno di buffonate”. Berlusconi aveva dall'inizio mantenuto una linea di apertura facendo intendere la possibilità di trasferire dipartimenti con funzioni operative e non semplicemente di rappresentanza, ma il leader del carroccio Umberto Bossi da Pontida ha rilanciato la posta e domani è attesa la risposta del Cav.

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