A Napoli tutto si tiene, con le manette

Salvatore Merlo

I napoletani in fondo si divertono, perché in città, lontano dal Palazzo, tutto è ammuina, commedia dell'arte: il pm che diventa sindaco e l'altro che diventa assessore, i colleghi della procura che abbattono gli avversari politici, il Pdl che divorzia da se stesso e si divide in mille rivoli già postberlusconiani, il Pd che s'inabissa lontano all'orizzonte, gli industriali un tempo amici del Cavaliere che invocano Casini, la monnezza che sempre più fa parte del paesaggio urbano. Tutte le strade d'Italia oggi portano a Napoli.

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    I napoletani in fondo si divertono, perché in città, lontano dal Palazzo, tutto è ammuina, commedia dell'arte: il pm che diventa sindaco e l'altro che diventa assessore, i colleghi della procura che abbattono gli avversari politici, il Pdl che divorzia da se stesso e si divide in mille rivoli già postberlusconiani, il Pd che s'inabissa lontano all'orizzonte, gli industriali un tempo amici del Cavaliere che invocano Casini, la monnezza che sempre più fa parte del paesaggio urbano. Tutte le strade d'Italia oggi portano a Napoli. A Napoli, in percentuale assai maggiore rispetto a Milano, si è scatenato quel moto ondoso delle amministrative che, risalito su su fino a Palazzo Chigi, ha messo nei guai Silvio Berlusconi e adesso, dopo l'arresto di Luigi Bisignani, lambisce anche quel sistema di potere morbido e trasversale, fatto di relazioni diplomatiche, finanziarie e salottiere per il quale Gianni Letta si è guadagnato il nomignolo rispettoso e confidenziale di eminenza azzurrina. E c'è una logica quasi consequenziale tra l'inchiesta giudiziaria e l'esito delle elezioni comunali che hanno punito il candidato del Pdl Gianni Lettieri amico del quasi omonimo Letta, il quale lo presentò al Cavaliere e che assieme a Bisignani e Denis Verdini ne aveva assecondato le ambizioni. Basta farsi un giro nel Palazzo dell'unione industriali a Napoli, dove il sistema Letta è poco amato, per sentirsi dire qualche frase illuminante: “Certe cose si sapevano, dell'indagine si chiacchierava da tempo. Perché tutto succede solo adesso? Quando un potere si indebolisce ne sopravanza un altro”. Un'unica onda d'urto: sconfitta di Lettieri (30 maggio); il pm Narducci, che aveva indagato sul Pdl proprio come Henry John Woodcock, diventa assessore comunale (13 giugno); arresto di Bisignani su richiesta di Woodcock (15 giugno); voci incontrollabili su Letta (oggi).

    Quando la sera del 30 maggio Stefano Caldoro,
    che bene esercita la professione di presidente della regione Campania, si è messo a letto sapendo che Luigi De Magistris era diventato sindaco di Napoli, tra le altre cose ha fatto un esercizio scaramantico: “Speriamo bene…”. 65,2 per cento dei voti e una frase dell'ex magistrato reso famoso dall'inchiesta (mai conclusa) Why Not: “Abbiamo scassato tutto”. In realtà tutto era già scassato anche prima, il centrodestra era (ed è) pesto per la lotta di potere interna tra Nicola Cosentino, il coordinatore regionale sotto inchiesta per legami con la camorra, e il governatore Caldoro; tra Gianni Lettieri, l'ex presidente di Confindustria Antonio D'Amato e gli ex di An Mario Landolfi e Vincenzo Nespoli. Tutto mentre il Pd aveva appena epurato Andrea Cozzolino, erede del poco amato Antonio Bassolino e vincitore di primarie “col trucco” (file di cinesi pronti a votare), per candidare il prefetto Mario Morcone, brava persona col difetto però di essere sconosciuto ai più. “I partiti a Napoli si sono disintegrati”, ha scritto il direttore del Mattino, Virman Cusenza. Parole senza appello. A Napoli non c'è più il Pdl e non c'è più il Pd, è saltata la logica del bipolarismo, i poteri economici e finanziari si guardano intorno in cerca di altri interlocutori (persino dell'anticasta De Magistris), mentre la politica nei due principali partiti si riassume in una logica di guerra per bande nella quale la magistratura, adesso in parte cooptata nelle stanze del comune, fa continue e destabilizzanti incursioni. Manca un centro di gravità e c'è chi si chiede se Napoli sia il laboratorio di una prossima, forse scombiccherata, Terza Repubblica: la frenata dei partiti più grandi, l'eclissi di Berlusconi, la guida carismatico-tribunizia, il successo proporzionalista del Terzo polo che con una deludente media nazionale, soltanto a Napoli ha raggiunto la vetta dell'11,4 per cento.

    I poteri della città si stanno riorganizzando e s'intravvedono soluzioni persino esportabili. La logica che contrapponeva il sistema Bassolino al più articolato sistema di relazioni politico-finanziarie del centrodestra non è più valida, tutto si è disarticolato (in attesa di ricollocazione?). A Napoli esiste già, nei fatti, una singolare alleanza che mette insieme il Terzo polo, De Magistris e Nichi Vendola. Per ironia non ne fa parte (ancora) il Pd, che in Campania è persino più disordinato e lacerato che nei Palazzi romani. Ieri è stato eletto presidente del Consiglio comunale il professore Raimondo Pasquino, che era il candidato sindaco del Terzo polo. Una significativa operazione politica, compiuta con il benestare di De Magistris, della sinistra radicale di Vendola, di un pezzo del Pd, e che ha avuto per regista Antonio D'Amato. L'ex presidente di Confindustria, con al seguito la gran parte dell'Unione industriali napoletana, è stato il grande sponsor di Pasquino contro il sistema Letta-Berlusconi (che non è lo stesso di Cosentino), e adesso tenta di favorire un'operazione complicata e ambiziosa: moderare De Magistris, favorire i rapporti tra l'amministrazione comunale e il capitalismo reticolare cittadino, tra questo e la regione guidata da un berlusconiano atipico e per bene: il giovane socialista Stefano Caldoro.

    E' in gestazione un nuovo blocco sociale?
    De Magistris, grazie alle capacità di tessitura di Caldoro e all'impegno dell'unione industriali adesso guidata da Paolo Graziano, potrà contare a breve su investimenti privati per riqualificare l'area di Napoli est. Circa 2,5 miliardi di euro messi sul piatto dagli imprenditori: nuovi posti di lavoro, la costruzione di scuole, della caserma più grande del mezzogiorno, almeno due parchi comunali, parcheggi interrati, riqualificazione del porto turistico. Ossigeno per un amministratore comunale alle prime armi che si è sbilanciato promettendo l'impossibile: portare al 60 per cento in sei mesi la raccolta differenziata a Napoli quando – basterebbe chiedere a Matteo Renzi – persino a Firenze, con grande impegno, si è arrivati appena al 38 per cento in due anni. Singolare alleanza – e da verificare – tra gli imprenditori, il governatore riformista e la nuova giunta. E' atteso anche un protocollo che genererà invece investimenti pubblici per le infrastrutture della città: altri 2,3 miliardi di euro, oltre alla Coppa America che quasi certamente farà due tappe a Napoli nel 2012 e nel 2013.

    Tutto molto difficile. L'esuberante sindaco Masaniello e il placido governatore della regione sembrano fatti apposta per non capirsi: difatti litigano un po' sulla gestione dell'emergenza rifiuti. Caldoro è un outsider nel Pdl campano, come De Magistris è un sindaco in cerca di idee e amici. Il presidente della regione ha rappresentato nel Pdl il tentativo di contrastare il blocco di potere che fa riferimento al coordinatore regionale ed ex sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino. Fu scelto dopo una serie di veti incrociati, di litigi furibondi, di pressanti suggerimenti che al Cavaliere arrivarono da Franco Frattini e Mara Carfagna. Adesso è l'unica cordata pidiellina al potere, anche se un po' isolata. Chissà.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.