Curva pericolosa a Pontida

L'arresto di Bisignani e i guai in Piemonte irrompono sul Cav. (e Letta)

Salvatore Merlo

Nel giorno in cui la Camera non concede l'autorizzazione all'uso delle intercettazioni nei confronti dell'ex ministro Mario Landolfi per una vicenda su cui pesano “evidenze di fumus persecutionis” (parole dell'onorevole e avvocato Mauro Paniz), sul Pdl e sul governo tornano ad addensarsi nubi giudiziarie che ieri hanno complicato una giornata già difficile per Silvio Berlusconi.

    Nel giorno in cui la Camera non concede l'autorizzazione all'uso delle intercettazioni nei confronti dell'ex ministro Mario Landolfi per una vicenda su cui pesano “evidenze di fumus persecutionis” (parole dell'onorevole e avvocato Mauro Paniz), sul Pdl e sul governo tornano ad addensarsi nubi giudiziarie che ieri hanno complicato una giornata già difficile per Silvio Berlusconi. Il Cavaliere ha partecipato ai funerali dell'amico Romano Comincioli e si è trovato anche a dover rattoppare gli scarti umorali di una Lega sempre più bizzosa. “Berlusconi è in difficoltà e guarda caso riparte l'assedio delle procure”, sussurra al Foglio Fabrizio Cicchitto. Il capogruppo del Pdl alla Camera si riferisce al tormentato incontro tra il Cavaliere e Umberto Bossi ieri in aereo da Milano a Roma, ma soprattutto ai due arresti clamorosi: di Luigi Bisignani, dirigente di azienda vicino a Gianni Letta, e dell'assessore regionale alla Sanità piemontese Caterina Ferrero. Due indagini diverse, che tuttavia colpiscono indirettamente il cuore romano del potere berlusconiano e a Torino puntano sul già instabile asse tra Lega e Pdl che in Piemonte (e non solo) regge il governatore Roberto Cota. Sul caso Bisignani – dicono nel Palazzo – “si muovono ambienti indecifrabili che mettono in circolo miasmi. L'obiettivo è Letta e dunque in definitiva Berlusconi”.

    D'altra parte non è un mistero per nessuno: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio è l'unico uomo di cui il Cavaliere si fida al punto da poter immaginare di cedergli anche prima del tempo lo scettro di Palazzo Chigi. Dalle poche parole pronunciate ieri da Letta si può intuire quale sia il clima di sospetti (e dossier?) che alimenta i tormenti di un sistema di potere che si sente sotto attacco: “Non ho mai parlato con nessuno di presunte inchieste a mio carico, non sapevo che esistessero e non so neppure se esistano”. Alla Camera i deputati fanno circolare strane voci, inverificabili. Per il Cav. l'incontro “interlocutorio” con Bossi non poteva avvenire in un contesto peggiore: “Siamo sotto assedio Umberto. Se a Pontida forzi la mano viene giù tutto”.

    Atterrati all'aeroporto di Ciampino alle 15, Berlusconi e Bossi si sono dati appuntamento di nuovo per oggi. Prima del raduno di Pontida la parola d'ordine del Cavaliere è “negoziare”. Spera di poter contenere nell'ambito del realizzabile e del possibile il papiro di richieste minacciose che Bossi si prepara a srotolare domenica prossima. Con il leader della Lega il premier ha usato anche l'argomento del “comune destino”, l'attacco di cui Berlusconi si sente oggetto (“attacco giudiziario, mediatico e ora anche finanziario per via di Mondadori”) è una minaccia anche per Bossi. Si può concedere sul fisco, sul patto di stabilità per gli enti locali e sugli sprechi della politica, pensa il Cavaliere. “Ma sulla Libia è più che complicato”, dice al Foglio il capogruppo del Pdl in Senato Maurizio Gasparri. Roberto Maroni chiede la fine dei bombardamenti, e nei conciliaboli del gruppo dirigente padano ieri sono state persino maneggiate senza troppa cautela due parole: appoggio esterno. Ma chissà.

    “Bisogna trovare una via d'uscita insieme. Non è una gara a chi la spara più grossa”, dice Gasparri. “Urlare al proprio popolo è facile. Trovare soluzioni è più difficile”. Ieri Berlusconi lo ha spiegato anche a Bossi, per lo meno ci ha provato: capisco i tuoi problemi, ma ci sono impegni internazionali “e poi anche Napolitano…”. Il presidente della Repubblica è una diga invalicabile su un principio che, con un Gianni Letta in sofferenza, rafforza Giulio Tremonti e dunque i soliti sospetti che gravano sul superministro. L'Italia deve sottostare agli accordi internazionali, ha sempre detto il Quirinale, “in politica estera come in economia”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.