Fisco per fiaschi

Tremonti sotto assedio per la riforma tributaria. Ma i conti non tornano

Salvatore Merlo

“La soluzione non è nel partito, ma nel governo”. Lo dice da tempo Fabrizio Cicchitto. Il capogruppo del Pdl alla Camera rappresenta un pensiero diffuso nell'entourage di Silvio Berlusconi: va bene la nomina di Angelino Alfano, discutiamo pure di primarie se si vuole, andiamo avanti con il tesseramento e la fase congressuale ma – pensano in molti – è nel rilancio dell'azione di governo che si trova la soluzione.

    “La soluzione non è nel partito, ma nel governo”. Lo dice da tempo Fabrizio Cicchitto. Il capogruppo del Pdl alla Camera rappresenta un pensiero diffuso nell'entourage di Silvio Berlusconi: va bene la nomina di Angelino Alfano, discutiamo pure di primarie se si vuole, andiamo avanti con il tesseramento e la fase congressuale ma – pensano in molti – è nel rilancio dell'azione di governo che si trova la soluzione all'impasse nella quale la maggioranza è precipitata dopo il voto delle amministrative. E dunque un nome e un cognome sono i più pronunciati nei conciliaboli del centrodestra: Giulio Tremonti. La chiave della legislatura è nelle tasche del ministro dell'Economia; è lui che deve trovare il sistema di conciliare il rigore e il consolidamento di bilancio, per cui l'Italia si è impegnata con l'Europa, e gli sgravi fiscali che anche Umberto Bossi (con Roberto Maroni) considerano decisivi per riconquistare il consenso perduto.

    E' di questo che nella notte tra martedì e mercoledì hanno parlato i dirigenti della Lega e il Cavaliere. Tra il premier e Tremonti le cose – non lo nasconde più nessuno – non vanno bene. Ma la tensione sempre fin troppo avvertibile tra i due – spiegano al Foglio – sta prendendo una piega quasi irrazionale perché, lo dice persino un non amicissimo del ministro dell'Economia come Raffaele Fitto, “abbassare le tasse e contemporaneamente fare una manovra da 40 miliardi è forse impossibile”. Lo sa anche il presidente del Consiglio, malgrado nel loro ultimo incontro abbia chiesto a Tremonti se “questa manovra così dura è proprio inevitabile”.

    Difficile credere che il Cav. abbia intenzione di inaugurare una politica di spesa. “Per la verità Berlusconi pensa soltanto che un bravo ministro dell'Economia possa essere in grado di raccattare 10 miliardi di euro nelle pieghe di un bilancio nazionale”, dice al Foglio uno dei massimi dirigenti del Pdl. E così il tramestio che attraversa i rapporti tra lui e Tremonti, a molti uomini del gruppo dirigente pidiellino, sembra assomigliare pericolosamente alla “competizione” che si era scatenata con Gianfranco Fini. “Non si stanno simpatici”. Al di là dell'irrazionalità i due uomini, complice la mediazione di Bossi (ora spinge un po' anche lui), lavorano per trovare alcuni accorgimenti che permettano di alleggerire la pressione fiscale senza intaccare il bilancio. Possibile? Al di là della scarsa empatia umana, sono tutti d'accordo: è l'unica strada.

    La Lega, molto nervosa, ha insistito con il presidente del Consiglio sul decentramento dei ministeri al nord. Secondo una versione che viene raccontata al Foglio, il premier avrebbe resistito dicendo che “non è possibile. Possiamo spostare al massimo dei dipartimenti”. Ma chissà. E' impressione diffusa che la polemica mediatica intorno alla questione dei ministeri al nord appartenga alla categoria dello spin comunicativo, della tattica. La Lega sa di non potere ottenere il massimo risultato – Gianni Alemanno sarebbe disposto a scendere persino in piazza contro il governo – ma ha pure bisogno di una battaglia da combattere e di un orizzonte da far intravvedere ai militanti scontenti che si riuniranno il 19 a Pontida. E' Roberto Calderoli ad aver imbracciato questa bandiera, assecondato da Bossi e osservato con una punta di freddezza da Maroni che invece è all'economia (e forse in prospettiva all'immigrazione) che guarda con maggiore interesse.

    Anche per il partito nordista l'unico sistema per tirarsi un po' al di sopra della palude, pensa Maroni, è nel rilancio delle riforme, economia in testa. Ma in un clima di incertezza e sfiducia, che attraversano sia la Lega sia le file disordinate del Pdl, anche il più piccolo dei problemi rischia di diventare una grossa grana. Non c'è solo Gianfranco Micciché, tornato a minacciare la scissione dal gruppo del Pdl, cui si aggiungono il malumore di Claudio Scajola e l'irrequietezza delle truppe ex di An che si condensano attorno a Gianni Alemanno e Altero Matteoli. Ieri in Parlamento (dove la maggioranza è andata sotto, in Aula al Senato e in commissione alla Camera) si è avuta l'impressione che il malanimo di alcuni esponenti del gruppo dei Responsabili, e persino dei deputati leghisti (sono i peones quelli in maggiore sofferenza) siano in grado di mettere in difficoltà la navigazione del centrodestra. Nel pomeriggio Denis Verdini ha passeggiato a lungo nei pressi della Camera con i responsabili Silvano Moffa (che diventerà capogruppo) e Mario Pepe. Il riservatissimo coordinatore del Pdl sembra essere più che mai centrale nelle operazioni diplomatiche e di ritessitura interne ai gruppi che compongono la maggioranza.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.