Tutte le strade portano a Tremonti

Salvatore Merlo

“Non è Tremonti che decide, lui propone. Gli faremo aprire i cordoni della borsa”, ha detto Silvio Berlusconi. Tutto ruota intorno alle inclinazioni, alle ambizioni e al destino di un uomo: Giulio Tremonti. La riforma tributaria, che Berlusconi assieme a Umberto Bossi ha individuato per il difficoltoso rilancio della coalizione, passa dal filtro costituito dai dubbi flemmatici del ministro dell'Economia. E non c'è ipotesi di complotto, non c'è scenaristico 25 luglio del Cav. che non abbia sempre Tremonti per protagonista nel ruolo di erede per la prossima legislatura o di salvatore della patria già in questa scombinata fase politica.

    “Non è Tremonti che decide, lui propone. Gli faremo aprire i cordoni della borsa”, ha detto Silvio Berlusconi. Tutto ruota intorno alle inclinazioni, alle ambizioni e al destino di un uomo: Giulio Tremonti. La riforma tributaria, che Berlusconi assieme a Umberto Bossi ha individuato per il difficoltoso rilancio della coalizione, passa dal filtro costituito dai dubbi flemmatici del ministro dell'Economia. E non c'è ipotesi di complotto, non c'è scenaristico 25 luglio del Cav. che non abbia sempre Tremonti per protagonista nel ruolo di erede per la prossima legislatura o di salvatore della patria già in questa scombinata fase politica. Che la maggioranza tiri avanti, imploda repentinamente o cambi configurazione, è anche questo terreno per Tremonti. E dunque nel Palazzo, su cui aleggia il fantasma tangibile di una durissima manovra triennale da 40-45 miliardi, è il nome del ministro che viene evocato dai teorici berlusconiani del continuismo, dai malmostosi complottardi e dai due leader – Berlusconi e Bossi – uniti forse da un comune destino, ma certamente autori di un'analisi che coinvolge il superministro: “Non si può andare al voto così, né ora né nel 2013. Bisogna rilanciare sulle riforme, sulle cose concrete, sul fisco”. Al Cavaliere lo ha detto lunedì sera, a Bucarest, Roberto Maroni. Un idem sentire confermato al premier anche da Bossi (i due potrebbero incontrarsi oggi a Roma), con un accenno significativo alle preoccupazioni di Tremonti (“come si rivedono le aliquote fiscali se incombe la manovra?”). La novità, emersa ieri pomeriggio in un rapido ma teso incontro tra Bossi, Maroni, Calderoli e Tremonti è che la Lega preme “sull'amico Giulio”, mentre lui – il ministro “genio” dell'Economia – comprende le esigenze della politica, ma obietta invocando le scelte responsabili e obbligate dell'economia, “che dipendono anche dall'Europa”. Se nei mesi passati Bossi aveva fatto da forza di interposizione, frapposto tra Tremonti e le disordinate richieste di maggiore slancio economico che arrivavano dal Cavaliere, adesso le cose sono cambiate. Per la Lega uscita ammaccata dalle amministrative niente è più concreto e necessario della riforma tributaria e della revisione delle aliquote. Niente sarebbe più gradito a quel capitalismo reticolare, di piccole imprese e partite Iva, su cui la Lega poggia le basi più solide del suo consenso nel nord Italia; quel segmento di elettorato storico che alle ultime amministrative, persino nel feudo maroniano di Varese, ha offerto ai dirigenti leghisti allarmanti ma ancora reversibili segnali di disaffezione.

    Tutto ruota attorno a Tremonti: il fisco, il piano di rilancio del governo, la supermanovra, la meccanica della successione alla guida del centrodestra e dunque la legislatura. Persino le timide avance che il Pd rivolge alla Lega intorno alla riforma della legge elettorale, alludendo a un governo di unità nazionale con Tremonti – ovviamente – alla guida. Il ministro tace, come fa sempre quando la casa (anche la sua) brucia. Ma il suo nome è in queste ore pronunciato in ogni capannello di parlamentari, di dirigenti e di ministri che si rispetti. Il silenzioso Tremonti non dice quello che molti pensano: “Sulla crescita qualcosa si può fare”, come ha confermato ieri con slancio inedito il governatore uscente della Banca d'Italia Mario Draghi. “Qualcosa la si può fare – non dice Tremonti – ma senza Berlusconi”. Così i ragionamenti che da alcuni giorni Renato Brunetta consegna ai suoi interlocutori assumono un senso inequivocabile, che sa di denuncia di complotto: “Senza riforme che rilancino l'economia, la riduzione del debito e il pareggio di bilancio diventano soltanto tagli su un paese stremato. Chi non lo capisce è anche chi, in tutta evidenza, lavora per una maggioranza e un governo diversi dall'attuale”.

    Il governo va avanti? “Sì, per ora va avanti. Tranquillo non lo so, però va avanti”. Umberto Bossi sotto forma di sfinge difficilmente scioglierà i dubbi prima di aver incontrato a quattr'occhi, forse oggi, Berlusconi. Un incontro che avrà anche per oggetto Giulio Tremonti, il ministro che si dimostra freddino nei confronti dello scatto pro crescita invocato negli ultimi giorni dal premier e che, secondo le malizie dell'entourage berlusconiano, “nella migliore delle ipotesi si prepara a chiedere uno scambio a Berlusconi. Ovvero sì a un intervento sul fisco, ma a patto che contestualmente si stabilisca che Berlusconi non sarà il candidato del 2013”. Manovre fin troppo evanescenti, per quanto verosimili. Chissà.

    L'ipotesi del complotto tremontiano è diffusa in una sorta di passaparola ministeriale. I membri del governo che forse meno amano il superministro dell'Economia, tra loro e con il Cavaliere, sono molto espliciti. Renato Brunetta, Angelino Alfano, Raffaele Fitto, Franco Frattini. “Tremonti pensa di poter sostituire Berlusconi per poi mettere in campo esattamente lo stesso programma di rilancio economico che ha impedito al presidente del Consiglio. Riforma del fisco agganciata al federalismo fiscale. Il modello non è quello di Lamberto Dini, ma quello di Carlo Azeglio Ciampi: il ‘salvatore della patria'”. E' tutto in movimento, ma è anche tutto fermo. In attesa dell'incontro con Bossi e di un negoziato di successo con Tremonti, Berlusconi manifesta la sua volontà di rilancio disegnando nuove architetture per il Pdl.

    Angelino Alfano dovrebbe essere nominato coordinatore unico del Pdl, forse già oggi. Ignazio La Russa e Denis Verdini rassegneranno le dimissioni, ma tutto dovrebbe avvenire – almeno queste sono le intenzioni – senza dare l'idea di un blitz calato con violenza dall'alto. Segnali di generico dinamismo riconducibili anche ad antiche rivalità interne ma che tuttavia, secondo alcuni esponenti di prima fila del Pdl, servono a poco “perché la chiave di tutto è l'esecutivo – dice Fabrizio Cicchitto – Il rilancio è nell'azione di governo. Il partito seguirà”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.