Milano-Italia

Reggerà il governo fino al 2013? Tra facce tirate si cerca la risposta

Salvatore Merlo

Reggerà il governo fino al 2013? No, perché l'indebolimento registrato in questa tornata di elezioni amministrative descrive un declino forse inarrestabile. Sì, reggerà perché al governo Berlusconi non c'è (ancora) un'alternativa. La sconfitta si legge più nelle facce tirate di Denis Verdini e Ignazio La Russa che attraverso le loro parole temerarie: “Queste elezioni sono state un pareggio”. La sconfitta è tutta nell'assenza incrociata di Umberto Bossi e Silvio Berlusconi, che si negano alle telecamere.

    Reggerà il governo fino al 2013? No, perché l'indebolimento registrato in questa tornata di elezioni amministrative descrive un declino forse inarrestabile. Sì, reggerà perché al governo Berlusconi non c'è (ancora) un'alternativa. La sconfitta si legge più nelle facce tirate di Denis Verdini e Ignazio La Russa che attraverso le loro parole temerarie: “Queste elezioni sono state un pareggio”. La sconfitta è tutta nell'assenza incrociata di Umberto Bossi e Silvio Berlusconi, che si negano alle telecamere, ma pure si telefonano per solidarizzare tra loro, si accordano per parlare a quattr'occhi (forse oggi), e si immergono in lunghissime riunioni coi rispettivi stati maggiori. Conciliaboli che vertono su un unico spartito: ora che si fa? “Quieta non movere”, è l'idea di Berlusconi, “chi si agita si fa del male”. Sul proscenio colonnelli bossiani e triumviri berlusconiani minimizzano sul risultato complessivo delle elezioni, Verdini si fa compunto quando srotola di fronte ai cronisti quei risultati che “non sono una Caporetto” e che qualche ora prima aveva commentato anche con il Cavaliere. Ma poi tutti ammettono che “a Milano abbiamo preso ‘una scoppola'”, e dunque riperticare i successi di Rimini o il ballottaggio mancato in extremis a Bologna in realtà serve a poco.

    E infatti tra loro, a porte chiuse, condividono un'analisi spietata. Ieri sera a Palazzo Grazioli la discussione sulla nuova strategia elettorale, più moderata, che andrà adottata per i ballottaggi è durata pochissimo. Non è più quello il vero problema. A casa del premier, così come nella sede della Lega a via Bellerio, Bossi e Berlusconi si sono concentrati sul come superare indenni una possibile sconfitta di Letizia Moratti al ballottaggio di Milano. “Bisogna intraprendere azioni di governo rapide e condivise. Dobbiamo stabilire cosa e come. Noi e la Lega, assieme. Abbiamo un punto di forza: alla nostra alleanza non ci sono alternative”. Gaetano Quagliariello ieri sera ha sostenuto questa posizione di fronte al Cavaliere. Nel Pdl è condivisa da tutti. Con un dubbio velenoso che riguarda l'affidabilità dell'alleato, considerato troppo irrequieto. Per questo, intanto, l'ipotesi di perdere a Milano va scongiurata.

    “Bossi è un alleato leale di Berlusconi. Ma se perdessimo Milano potrebbero prendere coraggio i dirigenti che nella Lega soffiano contro il Pdl e il presidente”. Dice così al Foglio un giovane ministro che proviene dai ranghi della ex Forza Italia, rivelando la preoccupazione dello stato maggiore del Pdl. La Lega, vista dai berlusconiani, parla un linguaggio palindromo: affida alla scena pubblica messaggi tranquillizzanti sul comune sforzo per vincere, ma poi uomini di peso come Attilio Fontana, prossimo sindaco di Varese e amico di Roberto Maroni, dichiarano pubblicamente che “ai ballottaggi voterei Pd”. D'altra parte è sul ministro dell'Interno Maroni, e sul solito Giulio Tremonti, che si concentrano i sospetti preventivi del Pdl. Eppure in tutta evidenza la tornata elettorale ha frustrato le ambizioni del ministro leghista, che si aspettava un'affermazione del suo partito da far pesare a un Berlusconi che arretrava nei consensi. Il partito nordista è stretto tra l'agitazione antiberlusconiana della base e un risultato elettorale che ne ha confuso le strategie. Così resta, sullo sfondo, come sempre in un contesto evanescente e al contempo verosimile, il solo Tremonti complice “nell'aver alienato la borghesia al berlusconismo”. Malizie sulla riforma fiscale che ruotano intorno all'analisi del voto nel centro della città di Milano, ovvero dove risiede la borghesia storicamente vicina al centrodestra; borghesia che in queste elezioni ha sorprendentemente fatto mancare il proprio appoggio. Ma chissà.

    Berlusconi non ha fatto un elenco di sospettati con i propri uomini riuniti a Palazzo Grazioli, tutt'altro. Non pare che condivida l'analisi e i timori che pure lo circondano. Il premier ha dimostrato ai propri uomini un'indole ancora combattiva, nonostante la “forte delusione”. Sembra intenzionato a farsi un po' da parte, ad ammainare la bandiera della politicizzazione di uno scontro “che deve restare cittadino”. Toccherà al partito, il Pdl, e al sindaco uscente Letizia Moratti vincere contro lo sfidante Pisapia. Una scelta che viene incontro – benché forse tardi – anche alle richieste di Bossi e della Lega (“alla gente dei giudici non frega nulla”). Ma il Cav. non dispera di riuscire nel pur complicato sorpasso del centrosinistra a Milano: “Possiamo ancora vincere, nulla è scritto”, ha detto il presidente del Consiglio a Moratti, dopo averla incontrata a Milano. “Abbiamo sbagliato i toni. Bisogna parlare ai moderati”, ha spiegato Moratti aderendo a un'analisi che il Pdl non accetta pubblicamente ma ha fatto già propria nei conciliaboli privati e nei contatti con la Lega.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.