Il buon modello Milano

Luigi Amicone

D'accordo, l'archeologico Partito marxista-leninista avrebbe francamente fatto meglio del sindaco di Milano. Avrebbe contestato a Pisapia, come dice il sito, che “è stupefacente come non si trovi nulla sul suo passato politico giovanile. Un'autocensura che serve a Pisapia per presentarsi” come “un ‘ultrasinistro' che, oramai ripulito, è pronto per ambire alla poltrona di neopodestà milanese”. La gaffe di Letizia Moratti?

    D'accordo, l'archeologico Partito marxista-leninista avrebbe francamente fatto meglio del sindaco di Milano. Avrebbe contestato a Pisapia, come dice il sito, che “è stupefacente come non si trovi nulla sul suo passato politico giovanile. Un'autocensura che serve a Pisapia per presentarsi” come “un ‘ultrasinistro' che, oramai ripulito, è pronto per ambire alla poltrona di neopodestà milanese”. La gaffe di Letizia Moratti? Perdonabilissima. D'altra parte, il problema di Giuliano Pisapia non sono le turbolenze del suo passato. E' che il suo profilo politico attuale è quanto di più lontano si possa immaginare dalla concretezza che deve avere il primo cittadino della città.

    Amministrare significa quello che la Moratti ha fatto. E bene. Significa un Piano di gestione del territorio atteso da trent'anni, la cura puntigliosa dei servizi. Sono queste le cose che interessano ai cittadini. E poi la Moratti ha portato a casa l'Expo, grasso che cola in una congiuntura di vacche magre. Ma poi prendi il caso rom. Milano è l'unica città italiana che  ha saputo reagire con calma e civiltà, coniugando accoglienza e fermezza, chiusura (vera) dei campi e scolarizzazione dei bambini, rimpatri forzati e fondi alla cooperazione internazionale. Per rovesciare il paradigma di governo morattiano non basta la “forza gentile per cambiare Milano”, 33 pagine di programma per fare di Milano il più classico degli argomenti rosa. “Milano città delle donne”, con annessa “Banca dei saperi femminili”. Sarebbe qui la “Milano che libera tutti”, come ha gridato il concerto rock pisapiano di qualche sera fa dal sagrato del Duomo? Lo stesso sagrato che ospitò la preghiera islamica, senza che ciò provocasse nel cardinal Tettamanzi una parolina perlomeno di imbarazzo. Anzi. Oggi il cardinale e la curia che si trovano a un passo dalla svolta, approvano sottobanco gli oppositori e benedicono la proposta Pisapia di costruire quanto più in fretta possibile una moschea nel capoluogo lombardo. Potevano i cattolici ben piantati nella metropoli non pronunciarsi per un voto alla Moratti, anche se lo hanno fatto in maniera discreta, senza indicare né nomi né simboli, come ha fatto in un volantino la Compagnia delle Opere, la numero uno delle organizzazioni imprenditoriali e sociali in città?

    Esemplare l'intervento di Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione Sussidiarietà: “Mentre continua il tentativo di rovesciare il governo per via extraparlamentare – ha scritto – nella prossima tornata elettorale, proprio sui contenuti si giocano concezioni contrapposte che determinano pesantemente la nostra vita quotidiana”. Il criterio giusto per scegliere gli amministratori della cosa pubblica “è quello di un'alleanza tra ente pubblico, privati e realtà sociali”. E questo è precisamente il modello Milano. Lo è sempre stato dal punto di vista storico, lo è stato tentativamente, ma certo coerentemente, nella gestione Moratti. Un'amministrazione che, quando si è mossa intelligentemente, non si è opposta, anzi ha aiutato, il crescere della città.