Un rottamatore al Quirinale

Alessandra Sardoni

Nell'aria primaverile, ma ugualmente da day after che si respira nel Pd scosso dal monito “giolittiano” del capo dello stato (“la sinistra sia credibile, affidabile, praticabile altrimenti resterà all'opposizione”), accanto alla replica ufficialissima del segretario Pier Luigi Bersani (“il Pd sa benissimo di dover essere credibile”), circola una battuta che la dice lunga sulla temperatura interna al partito: “Napolitano sembra un po' il leader dei rottamatori…”.

Leggi La dottrina Napolitano di Salvatore Merlo

    Nell'aria primaverile, ma ugualmente da day after che si respira nel Pd scosso dal monito “giolittiano” del capo dello stato (“la sinistra sia credibile, affidabile, praticabile altrimenti resterà all'opposizione”), accanto alla replica ufficialissima del segretario Pier Luigi Bersani (“il Pd sa benissimo di dover essere credibile”), circola una battuta che la dice lunga sulla temperatura interna al partito: “Napolitano sembra un po' il leader dei rottamatori…”. Questo si sussurra nei corridoi poco affollati di Montecitorio. In effetti, significativamente, Matteo Renzi è stato fra i primi a lodare la sferzata di Giorgio Napolitano, e ieri in diretta su Canale 5 ha moltiplicato gli elogi. A seguire Nicola Zingaretti, di solito molto prudente, ma che in questo caso ha voluto sottolineare che, lui, il profilo di governo ce l'ha già, come del resto gli altri amministratori. Ma al di là del prevedibile gioco tra le correnti, e del comprensibile malumore per il fatto che la strigliata al Pd, con quel che sta combinando Berlusconi, viene considerata una versione quirinalizia della parabola della pagliuzza e della trave, c'è ben altro.

    Le parole del presidente della Repubblica offrono un'oggettiva sponda alla questione generazionale, mentre il richiamo ad abbandonare le fascinazioni dell'opposizione per privilegiare le responsabilità del governo viene accolto con maggiore disponibilità e minori resistenze mentali dai quarantenni. Di più, fa intravedere spazi per un ricambio. “Per chi come me fa parte di una generazione senza il prefisso ex, né ex Pci, né ex Dc, il Pd o ha cultura di governo, o non ha senso”, dice al Foglio Gianluca Lioni, dirigente nazionale del Pd, franceschiniano, specificando che uno come lui certo non si sente “in continuità con cinquant'anni di opposizione”. Per Alessia Mosca, lettiana, di provenienza orgogliosamente “Dc di base”, la parte più interessante del discorso di Napolitano è quando sottolinea “la discrasia tra l'opposizione di testimonianza e l'opposizione di governo”. L'ambizione di governo, aggiunge, “è nella mia storia politica, nella Democrazia cristiana era così. O la ritroviamo, oppure non abbiamo ambizioni”.

    Più articolata e più attenta alle dinamiche interne
    al Pd è la lettura di Matteo Orfini, dalemian-bersaniano, membro della segreteria. Al Foglio spiega di aver condiviso in particolare il passaggio “sull'impoverimento culturale” dei partiti: “Viene da lì l'avanzata di fenomeni mediatici, l'indebolimento della democrazia. Napolitano ha ragione a sottolinearlo. E' la ragione per cui abbiamo privilegiato la costruzione di un partito alla ricerca di un leader carismatico. Siamo stati noi ad andare contro vento”. Nell'analisi di Orfini c'è la voglia di trovare conferme a un'impostazione che vede nel rilancio dello strumento partito la chiave di volta per recuperare anche progetti e ambizioni di governo del Pd. “Noi stiamo già lavorando nella direzione indicata da Napolitano, oserei dire che la frase di Giolitti è quasi scontata”, osserva Orfini, “magari non ci siamo riusciti ancora, ma questo è un altro discorso”.

    I bersaniani, giovani e meno giovani,
    respingono la lettura che di Napolitano fanno i veltroniani. Iscritti, se non per anagrafe almeno per cultura e autopercezione alla categoria giovani, i Modem spiegano che Napolitano di fatto ha bocciato l'idea della Santa alleanza. Stefano Ceccanti, uomo peraltro vicino al Quirinale, ragiona così con il Foglio: “Napolitano ha parlato nel giorno della divisione con l'Idv sulla Libia e non è un caso. Ha voluto sottolineare che non dobbiamo andare avanti solo su una coalizione negativa, la cosiddetta Santa alleanza sarebbe poco credibile specie mentre si profila la possibilità che Berlusconi per la prossima volta si presenti con un successore. Nel 2006 l'Unione ha funzionato pochissimo…”. Insomma, a sentire Ceccanti e i veltroniani in genere, l'ermeneutica esatta regala una bocciatura da parte del Quirinale della strategia delle alleanze, del frontismo, delle sintonie con Di Pietro o Vendola. La stessa interpretazione scelta da Renzi e, fuori, da Pier Ferdianndo Casini: Napolitano esorta a scegliere, è la tesi dell'Udc. E a scegliere loro, naturalmente. “Se fossi Renzi starei attento a evitare strumentalizzazioni che non fanno onore né a Napolitano né a se stessi”, replica Orfini. E Lioni aggiunge: “Non credo che Napolitano stesse aderendo al Lingotto o ai Modem. Le alleanze sono un metodo, non un progetto in sé”.

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