Berlino über alles/ 1

Ugo Bertone

Qualcuno, forse, a Berlino ci sta già pensando: perché non chiedere alla Cina di invitare la Germania al prossimo vertice dei Brics?, ovvero il club delle economie emergenti del pianeta, oltre a Pechino, Brasile, Russia, India e la matricola Sud Africa. In fin dei conti la formidabile macchina economica tedesca, così votata all'export, ha molti più interessi in comune, su valute e commercio, con gli emergenti piuttosto che con la periferia dell'Unione europea.

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    Qualcuno, forse, a Berlino ci sta già pensando: perché non chiedere alla Cina di invitare la Germania al prossimo vertice dei Brics?, ovvero il club delle economie emergenti del pianeta, oltre a Pechino, Brasile, Russia, India e la matricola Sud Africa. In fin dei conti la formidabile macchina economica tedesca, così votata all'export, ha molti più interessi in comune, su valute e commercio, con gli emergenti piuttosto che con la periferia dell'Unione europea. Sembra fantafinanza. Ma solo fino a un certo punto se si esamina la fotografia che emerge dai bilanci, eccellenti, dei giganti dell'economia d'oltre Reno. L'industria tedesca è stata la più capace a sfruttare la fame di prodotti di qualità dei nuovi ricchi. Nei primi tre mesi del 2011 le vendite della Bmw sono cresciute del 53 per cento in Asia, mercato che per la casa di Monaco vale ormai un terzo in più della stessa Germania.

    Un copione simile si ripete in casa Volkswagen: una vettura su quattro prodotta dal gruppo è venduta in Cina. I conti di Daimler inducono alla stessa analisi: il made in Germany guadagna posizioni negli Stati Uniti a scapito di Toyota, ma fa miracoli in Cina dove Mercedes nel 2010 ha aumentato le vendite dell'82 per cento. Ma al di là dell'exploit dell'export, ci sono legami strutturali che promettono di reggere allo stress di tempeste valutarie provocate dal dollaro ballerino, incubo dei banchieri di Pechino o dei governanti di Brasilia al pari degli industriali tedeschi. I Brics hanno un bisogno vitale di attrezzature e macchinari che possano porre rimedio all'aumento del costo del lavoro domestico (vedi la Cina) o al boom della moneta (come sta accadendo al Brasile).

    Non a caso, la crescita record dei conti di Siemens si spiega anche con i massicci ordini in arrivo dall'industria dell'auto cinese. Ma sorprende ben di più il grido d'allarme in arrivo dalla Siemens brasiliana: la corsa del real, drogato dall'afflusso a San Paulo e Rio di dollari liberati dalla politica accomodante della Fed, minaccia non solo il futuro della Siemens brasiliana (che occupa più di 10 mila dipendenti) ma lo stesso paese sudamericano, che rischia di non trovare più sbocchi per l'export. Insomma, gli interessi di Berlino stanno più nella salute dei Brics che nei profitti dei grandi trader finanziari dell'occidente. Al punto che, agli occhi degli osservatori, la sintonia di Berlino con l'atteggiamento dei Brics in alcune partite politiche calde (dalla Libia al G20) non è poi così casual.

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