Patacche & business

Ciancimino Jr. faceva buoni affari illegali (non solo false delazioni)

Riccardo Arena

Parlava con i magistrati antimafia di Palermo, Massimo Ciancimino. Della trattativa fra mafia e stato, del Dc-9 di Ustica, del “papello”, del caso Moro, del generale Mori, dell'omicidio di Roberto Calvi. Parlava di tutto meno che di soldi. Dei suoi soldi, perché degli affari di Silvio Berlusconi diceva di sapere tutto o quasi, grazie alle confidenze e ai documenti del padre, don Vito. E mentre rispondeva alle domande dei pm del pool coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia, ripetendo che “prima di loro nessuno mi aveva mai chiesto niente”, il figlio di don Vito aveva ripetuti e frequenti contatti, personali e telefonici, con alcuni dei soci delle holding Sirco e Agenda 21 Sa.

Leggi Il partito dei pm come Antistato - Guarda la puntata di Qui Radio Londra La scandalosa gestione dei pentiti in Italia

    Parlava con i magistrati antimafia di Palermo, Massimo Ciancimino. Della trattativa fra mafia e stato, del Dc-9 di Ustica, del “papello”, del caso Moro, del generale Mori, dell'omicidio di Roberto Calvi. Parlava di tutto meno che di soldi. Dei suoi soldi, perché degli affari di Silvio Berlusconi diceva di sapere tutto o quasi, grazie alle confidenze e ai documenti del padre, don Vito. E mentre rispondeva alle domande dei pm del pool coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia, ripetendo che “prima di loro nessuno mi aveva mai chiesto niente”, il figlio di don Vito aveva ripetuti e frequenti contatti, personali e telefonici, con alcuni dei soci delle holding Sirco e Agenda 21 Sa e delle aziende controllate o partecipate, in cui – secondo gli accertamenti fatti da altri organi dello stato – è sparso in mille rivoli, soprattutto in Romania, il tesoro dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino.

    Frattanto che “rivelava” cose comunque attribuite al padre morto, frattanto che girava per televisioni e librerie come – parola di Ingroia – “un'icona dell'antimafia”, Massimuccio si accordava con alcune delle persone a lui vicine per svuotare i forzieri del tesoro, e cioè proprio la Sirco, azienda considerata di proprietà di don Vito. Il tesoro era stato sequestrato e confiscato, ma lui, da star dell'antimafia, ha avuto la possibilità e il tempo di far svuotare le vecchie società messe sotto sequestro e di trasferire la ricchezza in mani sicure. Come il Foglio è in grado di documentare, gli ex soci e i titolari di società un tempo controllate dalle holding Sirco, sede a Palermo, via Libertà 78, nello studio del professor Gianni Lapis (considerato il prestanome storico di don Vito e di Massimo Ciancimino), e Agenda 21 Sa, azienda di diritto rumeno, con sede a Bucarest, hanno svuotato la Sirco e ripreso il controllo e la proprietà della più grande discarica della capitale rumena, quella di Gline, 119 ettari di estensione, 238 milioni di valore potenziale. E' lì che Ciancimino ha investito parte del tesoro. Ora, assieme ad alcuni dei suoi soci, è nuovamente indagato per riciclaggio. Il figlio di don Vito è già in carcere per calunnia aggravata nei confronti dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, accusato, sulla base di un documento taroccato, di avere fatto il doppio gioco a favore di Cosa nostra. E' questa la nuova indagine riguardante il tesoro di don Vito, questo il mistero ancora da svelare sulle centinaia di milioni che il figlio del sindaco mafioso possiede all'estero. C'è da guardare soprattutto in Romania, e la procura di Palermo lo sta facendo da tempo, nonostante le accuse, le denunce e i tentativi di delegittimazione portati avanti da Ciancimino nei confronti dei magistrati che lo avevano fatto processare e condannare per la sparizione del tesoro del padre. Grazie alle segnalazioni dell'amministratore giudiziario della Sirco, Gaetano Cappellano Seminara, i pm Roberta Buzzolani e Lia Sava hanno scoperto che con una serie di operazioni finanziarie proprio a Bucarest sono stati aggirati i provvedimenti della magistratura italiana. L'indagine del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza è stata acquisita agli atti del giudizio di appello sul “tesoro”. Tale giudizio si era concluso con le condanne di Ciancimino Jr. a 3 anni e 4 mesi, della madre, Epifania Silvia Scardino, a 1 anno e 4 mesi, dell'avvocato Gianni Lapis a 5 anni e 1 mese e dell'altro avvocato e presunto prestanome Giorgio Ghiron a 5 anni e 4 mesi.

    Ma – sorpresa delle sorprese – la sentenza di secondo grado ha consentito ai magistrati di ottenere le condanne però non gli ha dato la possibilità di recuperare il malloppo perché nel frattempo Ciancimino e soci avevano provveduto a farlo sparire. Consegnandolo di fatto nelle mani di nuovi prestanome.
    Personaggio chiave di questa operazione è ritenuto Raffaele Valente, con cui nel 2009 Ciancimino ebbe numerosissimi contatti. Di presenza e per telefono. Diretti e indiretti. Attraverso Romano Tronci, imprenditore “rosso”, processato per mafia a Palermo, condannato a dieci anni in primo grado e assolto in appello; attraverso un socio di Tronci, Francesco Martello, pure lui giudicato per mafia nello stesso processo trash; attraverso la compagna di Tronci, Santa Sidoti, già socia della Sirco. Erano tutti legati da interessi comuni nelle aziende e nel tesoro. E tra l'altro Ciancimino jr aggiornava Sidoti, Tronci e Valente anche sulle proprie deposizioni. Valente è un immobiliarista ed è considerato l'uomo-chiave di tutta l'operazione: è lui infatti che ha comprato all'asta, al tribunale civile di Bucarest, per appena un milione e 30 mila euro, una partecipazione societaria che è una delle principali casseforti del “tesoro”. Si tratta infatti di una quota che assicura il controllo di una società, la Ecorec, proprietaria della discarica di Gline. La quota dunque da sola vale circa 250 milioni.

    I meccanismi di questo svuotamento sono alquanto complessi: come ha ricostruito la Guardia di Finanza, la holding Sirco (Lapis e Ciancimino, secondo l'accusa) era socio di maggioranza della holding Agenda 21 Sa, con quote milionarie. Poco prima del sequestro della Sirco, i soci di Agenda 21 Sa fecero la prima operazione: deliberarono un aumento del capitale sociale di appena 3.500 euro, che Sirco non sottoscrisse, perdendo così il controllo di Agenda 21 Sa. La seconda operazione mirata riguardò Agenda 21 Sa, che, a sua volta, controllava la Ecorec, proprietaria della discarica di Gline: Victor Dombrovski, uomo d'affari rumeno, socio e al tempo stesso direttore di Ecorec, aveva prestato un milione alla sua stessa azienda e la controllante Agenda 21 Sa aveva garantito la restituzione del prestito. Alla scadenza, però, il milione non fu rimborsato e Dombrovski, anziché agire contro la Ecorec, si rivolse ad Agenda 21 Sa. Ottenendo dal tribunale civile di Bucarest il pignoramento e la vendita all'asta della sua quota di partecipazione in Ecorec. Per appena un milione e 30 mila euro, così, la società Alzaleas, anch'essa di diritto rumeno, di proprietà di Raffaele e Pietro Valente, comprò all'asta una partecipazione che valeva il controllo di una discarica da 238 milioni, oltre gli altri possibili ricavi. E non è finita, perché la Agenda 21 Sa, società rumena ma appartenente a soci italiani, Sergio e Raffaele Pileri in particolare, ha fatto causa, a Bucarest, alla Sirco – e dunque all'amministrazione giudiziaria – sostenendo di avere subito un danno da 50 milioni.

    “Le attività poste in essere dal Dombrovski, dal Valente e dai soci di Agenda 21 Sa – scrive la Finanza, riprendendo la relazione dell'amministratore giudiziario – potrebbero essere state eseguite dietro la regia di Lapis Gianni e Ciancimino Massimo, considerato che le medesime attività susseguitesi nel tempo sembrano propedeutiche ad un unico disegno criminoso”.

    Leggi Il partito dei pm come Antistato - Guarda la puntata di Qui Radio Londra La scandalosa gestione dei pentiti in Italia