Generale, mio generale

Petraeus è la risposta carismatica dell'America contro le stragi di Osama

Daniele Raineri

C'è un dettaglio che conta, tra i tanti. Quando domenica notte uno degli elicotteri delle forze speciali americane è andato in stallo sopra la villa di Osama bin Laden e poi si è posato nel cortile senza più rialzarsi, gli uomini dei Navy Seal lo hanno distrutto con l'esplosivo.

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    C'è un dettaglio che conta, tra i tanti. Quando domenica notte uno degli elicotteri delle forze speciali americane è andato in stallo sopra la villa di Osama bin Laden – per lo sgomento del presidente americano Obama, che dalla Situation Room della Casa Bianca osservava l'azione via video – e poi si è posato nel cortile senza più rialzarsi, gli uomini dei Navy Seal lo hanno distrutto con l'esplosivo. Come si fa secondo il protocollo di guerra quando un mezzo deve essere abbandonato in un paese ostile. In teoria gli americani erano in missione sul territorio amico del Pakistan, il più grande alleato non Nato degli Stati Uniti subito dopo Israele. In pratica hanno dovuto agire a poche centinaia di metri dalla più prestigiosa Accademia militare pachistana come se fossero stati perduti dietro le linee nemiche.

    Da otto anni, questo è il terreno, difficile da percorrere e da masticare, del generale David Petraeus, ovvero della grande antitesi intellettuale e militare prodotta dall'America come reazione immunitaria agli attacchi e allo stragismo internazionale di Osama bin Laden.

    Entrato nella guerra al terrorismo dichiarata dall'Amministrazione Bush piuttosto in sordina, come comandante dei paracadutisti mandati a sorvegliare Mosul nel nord dell'Iraq subito dopo l'invasione del 2003, il comandante ha giocato una colossale partita a distanza contro il capo di al Qaida. E' stato iniziatore teorico e guida sul campo della dottrina militare del “surge” americano in Iraq.

    Funzionò così bene che nel 2007 e 2008 sconfisse la campagna più violenta ed estesa di al Qaida, quella contro il governo sciita e le truppe straniere in Iraq. A Baghdad il generale elaborò un modello decisamente seducente per gli arabi, fatto di ascolto attento delle loro legittime aspettative misto a mazzate militari precise contro gli estremisti che rifiutavano il processo di negoziato e riconciliazione e si ostinavano a combattere.
    Il modello iracheno è stato puro veleno per gli uomini di Bin Laden e per il leader stesso, tutti dichiaratamente pronti alla morte ma non all'abbandono dei compagni di guerriglia. In Iraq, il generale americano è diventato il campione della guerra ibrida post undici settembre, quella dove i confini tra gli alleati fidati e i nemici mortali sono disegnati sull'acqua, una guerra combattuta in nazioni amiche ma dove muoiono migliaia di soldati americani, in cui anche soltanto per spostarsi fino al palazzo del presidente alleato è necessaria la scorta di elicotteri da guerra.

    Dopo l'Iraq, Petraeus è diventato capo del Centcom, il comando centrale del Pentagono che si occupa dell'enorme settore che va dall'Egitto all'Afghanistan. In quella veste, è diventato un ospite regolare del governo pachistano a Islamabad e di quello yemenita a Sana'a, dove al Qaida sta tentando il rilancio. Ormai il suo ruolo militare era stato rimodellato in via definitiva: come Osama bin Laden rilascia messaggi carismatici ai suoi simpatizzanti, così il comandante porta ai governi la sua autorevolezza non legata a un presidente o al colore di un'Amministrazione e s'infila nel labirinto delle relazioni con i servizi segreti stranieri.

    Questo giugno, appena dopo la fine della lunga operazione per stanare Bin Laden, quasi come se l'establishment della sicurezza nazionale americana fosse sfibrato da uno sforzo superiore, a Washington terminerà un grande ciclo di potere. C'è la partenza del segretario alla Difesa Bob Gates, nominato da George W. Bush ma che poi ha continuato per più di due anni sotto Obama, l'arrivo di Leon Panetta e la sostituzione prevista per la fine dell'estate del capo di stato maggiore Mike Mullen. Petraeus ha superato anche questo cambio della guardia ed è diventato direttore della Cia – ovvero, la prosecuzione naturale di quello che ormai è diventato il suo ruolo.

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    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)