La botta di Abbottabad

L'uccisione di Bin Laden suona come un “liberi tutti” in Afghanistan

Daniele Raineri

“Non avete ancora vinto, non andatevene”. Il New York Times ha fatto un giro d'opinioni che contano in Afghanistan sull'uccisione di Osama bin Laden. Dal governo afghano hanno risposto che l'operazione di domenica notte è stata un colpo fantastico contro al Qaida, ma non è affatto una vittoria definitiva contro i talebani.

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    “Non avete ancora vinto, non andatevene”. Il New York Times ha fatto un giro d'opinioni che contano in Afghanistan sull'uccisione di Osama bin Laden. Dal governo afghano hanno risposto che l'operazione di domenica notte è stata un colpo fantastico contro al Qaida, ma non è affatto una vittoria definitiva contro i talebani e che l'America e la Nato non dovrebbero usarla come una ragione per ritirarsi dalla guerra.

    L'uccisione di Osama è una spinta straordinaria alla linea che l'Amministrazione Obama è tentata di adottare per uscire dall'Afghanistan. Washington si è pentita dell'impegno colossale che si assunse nel 2009, quando autorizzò una strategia a lungo termine per battere i talebani, una strategia simile a quella irachena e che comprende un po' tutto, creare un esercito funzionante (ma il programma è in ritardo), far partire un processo democratico credibile (siamo ancora lontani), conquistare l'anima o almeno la non ostilità degli afghani (anche qui, ci vorrebbero anni nel caso migliore). Piuttosto, la Casa Bianca vorrebbe rilanciare un'altra dottrina, una strategia “light”, che circola sotto il nome di dottrina Biden perché il vicepresidente Joe Biden è il suo più appassionato sostenitore: lasciare che gli afghani se la sbrighino da sé a fare la guerra contro il Mullah Omar oppure stringere un compromesso politico con lui; e combattere i terroristi internazionali con il lavoro dei servizi segreti, gli attacchi dei droni e le incursioni delle forze speciali.

    Per preparare il terreno a questo cambio progressivo di dottrina, da un anno la Cia sta minimizzando la presenza del gruppo terroristico in Afghanistan: “Laggiù sono operativi al massimo cento uomini di al Qaida”, dice il direttore della Cia – che dal giugno diventerà capo della Difesa – Leon Panetta.

    Per gli alleati occidentali impegnati a fianco dell'America, esasperati dalla lunghezza e dalla natura del conflitto e che non vedono l'ora di chiudere le missioni militari a Kabul, queste sono parole di miele. Il nemico non è in Afghanistan, si nasconde altrove, soprattutto in Pakistan, non servono soldati ma forze speciali: è ora di ritirarsi. Non serve spiegare perché: 1) l'uccisione di Bin Laden; 2) da parte dei Navy Seals; 3) in una villa pachistana squilla il segnale generale del “quasi liberi tutti”.
    Un comandante militare della guerriglia talebana ha già detto al Los Angeles Times che “per noi non cambia nulla, si va avanti come prima”. Eppure ora che Bin Laden è stato ucciso e gettato in fondo al mare, la lotta del Mullah Omar contro il governo di Kabul potrebbe presto tornare a essere quello che era negli anni precedenti all'11 settembre 2001: beghe politiche centroasiatiche tra etnie misconosciute, i pashtun contro gli hazara e i tagichi, un argomento oscuro di competenza di specialisti e attivisti dei diritti umani – e di qualche drone con missili a sorvegliare dal cielo che la storia non si ripeta.

    Se i paesi della missione Isaf non vedono l'ora di districarsi dall'Afghanistan, l'oligarchia dei generali pachistani non vede invece l'ora di riprenderlo di nuovo sotto la sua soffocante protezione. Alcuni analisti, come John McCreary di NightWatch, parlano di un patto tra americani e pachistani: non possiamo andarcene senza la testa di Osama; sappiamo che lo proteggete, ma ora lasciatecelo e noi vi riconsegneremo il primato politico e militare in quest'area. Ci sono elementi a favore o a smentita di questa tesi? L'Amministrazione Obama, fin dal discorso notturno del presidente, è stata chiara: l'America ha deciso unilateralmente, il Pakistan è sempre stato all'oscuro di tutto. Questa versione è credibile perché gli americani da tempo non hanno più voglia di condividere informazioni decisive con i pachistani e serve anche per non esporre troppo il governo e l'esercito di Islamabad – ma non è bastata, sono stati subito minacciati di rappresaglie sanguinose dai talebani pachistani. Di certo c'è che Abbottabad, dove viveva Bin Laden, è una grande cittadina nella parte orientale del paese e sta tra la capitale e il vicino confine con l'arcinemica India. E' difficile, ma non impossibile, che qualcosa voli su quell'area, anche se proveniente dall'Afghanistan come gli elicotteri dei Navy Seal americani, senza il permesso dei pachistani – magari dato all'ultimo momento. Altrimenti c'era il rischio che il loro sistema integrato di difesa aerea scattasse e reagisse.

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    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)