Chi si salva dalla vendetta del nuovo ordine gheddafiano

Daniele Raineri

La repressione brutale di Muammar Gheddafi contro i ribelli della Libia ha tracciato una linea nella sabbia. Di là stanno le nazioni contro, che finora non hanno mosso un dito anche se hanno discusso a lungo e nei dettagli di operazioni irrealizzate, come la ormai inutile “no fly zone”. Di qua stanno le potenze amiche del rais, che tacciono ma sono con lui dalla parte della vittoria. Sabato scorso la Lega araba ha deciso di chiedere l'imposizione della “no fly zone” sulla Libia. Soltanto due grandi stati si sono astenuti dal voto: Algeria e Siria. Entrambi sono accusati da un tenace gossip mediorientale di mandare armi a Gheddafi.

    La repressione brutale di Muammar Gheddafi contro i ribelli della Libia ha tracciato una linea nella sabbia. Di là stanno le nazioni contro, che finora non hanno mosso un dito anche se hanno discusso a lungo e nei dettagli di operazioni irrealizzate, come la ormai inutile “no fly zone”. Di qua stanno le potenze amiche del rais, che tacciono ma sono con lui dalla parte della vittoria.

    Sabato scorso la Lega araba ha deciso di chiedere l'imposizione della “no fly zone” sulla Libia. Soltanto due grandi stati si sono astenuti dal voto: Algeria e Siria. Entrambi sono accusati da un tenace gossip mediorientale di mandare armi a Gheddafi. Due ufficiali libici sarebbero volati a Damasco e a Tartous, il porto siriano sul Mediterraneo, per trattare in fretta la consegna, le caratteristiche, i costi e il trasporto di un arsenale di origine sovietica compatibile, se non quasi identico, a quello della Libia. Le armi sarebbero arrivate ai soldati di Gheddafi su alcuni voli charter civili, che è una delle ragioni per cui i ribelli insistevano sul divieto di sorvolo.

    Secondo fonti appartenenti al Partito della riforma, all'opposizione, il regime di Bashar el Assad ha mandato anche piloti da guerra per fare volare i Mig 23 e i Mig 25 di Gheddafi contro i ribelli al posto degli inaffidabili libici – nelle prime ore della repressione due piloti si sono rifiutati di bombardare le manifestazioni e hanno chiesto asilo a Malta. Il presidente siriano vuole che la reazione di Tripoli sia un ammaestramento eloquente su che cosa succede a una parte del popolo quando si lancia la sfida a un regime militare senza averne le forze, come se la Libia fosse una seconda Hama per interposto regime: Hama è la città dove nel febbraio 1982 l'esercito e l'aviazione siriana bombardarono e massacrarono 30 mila civili per reprimere una rivolta.

    Anche Algeri aspetta che Gheddafi impartisca una lezione ai ribelli. Il governo osserva i disordini nel resto del mondo arabo e ha i nervi a pezzi: domenica una manifestazione di 40 persone è stata ingoiata dall'arrivo di 400 agenti della polizia anti sommossa. I ribelli libici all'aeroporto di Bengasi hanno dati e avvistamenti radar che dimostrano che 22 giganteschi aerei militari C-130 e Ilyushin 76 provenienti dall'Algeria sono atterrati agli aeroporti libici di Sabha e Surt, in mano a Gheddafi, nell'ultima settimana di febbraio. Hanno il codice aeronautico che indica i “voli speciali”. “Che cosa portavano, frutta?”, chiedono i ribelli. Un colonnello dei servizi segreti algerini, Djamal Bouzghaia, è accusato dall'opposizione di appoggiare attivamente la controrivoluzione di Gheddafi per conto del governo. Avrebbe facilitato il trasporto aereo dal Niger e dal Ciad dei mercenari che stanno combattendo per Gheddafi.

    Damasco e Algeri negano le accuse a gran voce, parlano di “dicerie inconcepibili” e di voli per evacuare i concittadini o carichi di aiuti umanitari, ma a calcare sulle voci ci si è messo pure Omar Hariri, il capo militare del Consiglio nazionale dei ribelli con la faccia magra e i capelli bianchi, che dice di essere preoccupato da rapporti che riceve “sui piloti algerini assunti da Gheddafi per pilotare i suoi jet e su una nave carica di armi partita dalla Siria. Spero  che non sia vero. Sono nostri fratelli”.  Quattro giorni fa è anche circolata la notizia che Ali Abdullah Saleh, il presidente dello Yemen assediato dalla propria rivolta nel centro della capitale Sana'a, ha spedito una lettera a Gheddafi e come latore della missiva ha mandato uno dei più grandi trafficanti d'armi del paese.

    Ieri al G8 dei ministri degli Esteri a Parigi sulla crisi libica l'opzione zona di non sorvolo è stata lasciata cadere nel nulla. Le note finali non ne facevano nemmeno cenno. Se l'unico effetto della proposta è stato quello di chiarire nelle ultime due settimane chi sta con chi, l'Unione africana sta con Gheddafi, anche se la sua posizione è silenziata dai media. Ramtame Lamamra, portavoce dei 15 membri del Consiglio di pace e sicurezza dell'Unione, fa sapere da Addis Abeba che l'alleanza “rispetta l'integrità territoriale della Libia e respinge qualsiasi interferenza straniera”. Una commissione formata da Sudafrica, Congo, Mali e Mauritania tenterà di mediare fra le parti.

    Fin da prima della formazione nel 2002, Gheddafi ha considerato l'Unione africana come una propria creatura e ha investito le risorse della Libia sulla propria carica immaginaria di “Re dei re dell'Africa”, come si autoproclamò davanti a uno stupefatto  emiro del Qatar che aveva provato a calmarlo durante un vertice della Lega araba. La pressione di Tripoli sugli stati africani e sui loro delegati, pronti a vendersi per poco, costrinse il Sudafrica a ogni genere di manovre per tentare di arginare il rais. Nelson Mandela, leader carismatico della rivoluzione sudafricana, si recò addirittura a visitare in un carcere scozzese il libico accusato della strage di Lockerbie per rabbonire Gheddafi. Ma l'Unione africana ha bisogno di fondi e il colonnello è un contributor troppo generoso per non avere un'influenza decisiva. Un diplomatico africano confessò a Basildon Peta dell'Independent che “in cambio del suo denaro, abbiamo promesso di votare tutte le sue risoluzioni”. Proprio per questo, la missione Amisom in Somalia nelle ultime due settimane ha lanciato una frettolosa offensiva in grande stile contro i guerriglieri filo al Qaida del movimento Shabaab che è costata la perdita di 53 soldati; i comandanti temono che il tempo a loro disposizione sia agli sgoccioli, la Libia vorrà la fine della missione come vendetta contro gli americani che si sono schierati contro – pure se soltanto a parole.

    Anche se il rais libico è impegnato a schiacciare la ribellione, la sua creatura cresce. Ieri l'alleanza africana ha annunciato la prossima formazione della cosiddetta Autorità dell'Unione africana, che rimpiazzerà con più ampi poteri l'attuale Commissione. E' un nuovo ordine gheddafiano che avanza.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)