Cosa intende Obama quando valuta “tutte le opzioni” in Libia

Daniele Raineri

L'intervento internazionale contro Muammar Gheddafi in Libia non sarà un atto di forza unilaterale deliberato nei bunker operativi di Washington e Londra, ma comincerà soltanto quando – e soprattutto se – sarà coperto da un mandato ampio delle Nazioni Unite. Per questo motivo, forse, l'intervento internazionale potrebbe non cominciare affatto. L'impressione che si intende dare è quella di un'azione militare da fuori che arriva con il consenso universale.

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    L'intervento internazionale contro Muammar Gheddafi in Libia non sarà un atto di forza unilaterale deliberato nei bunker operativi di Washington e Londra, ma comincerà soltanto quando – e soprattutto se – sarà coperto da un mandato ampio delle Nazioni Unite. Per questo motivo, forse, l'intervento internazionale potrebbe non cominciare affatto.

    L'impressione che si intende dare è quella di un'azione militare da fuori che arriva con il consenso universale e quasi per un'inevitabile legge meccanica, come se non potesse accadere altrimenti. Il presidente Barack Obama prima e ieri il segretario di stato Hillary Clinton hanno battuto sul principio della necessità di una risoluzione dell'Onu e francesi e britannici hanno lavorato febbrilmente alla stesura di una bozza che sarà presentata nelle prossime ore, ma al Consiglio di sicurezza ci saranno da vincere le resistenze di Mosca – che ha già detto no – e di Pechino – che è già chiusa nel suo silenzio, come spesso accade. Entrambe sono tradizionalmente riluttanti ad autorizzare qualsiasi interferenza negli affari interni di stati sovrani. C'è anche la possibilità che trasformino il loro eventuale assenso in merce di scambio.

    L'opzione di intervento più probabile è la creazione di una “no fly zone”, forse perché all'opinione pubblica appare erroneamente qualcosa in meno di un atto di guerra: consiste nell'apertura di un ombrello aereo su parte della Libia o su tutto il paese, per impedire ai caccia di Gheddafi di bombardare i civili e ai suoi aerei di trasportare i mercenari. In via preliminare la Nato ha chiesto ai suoi aerei radar, i giganteschi Awacs, di sorvegliare lo spazio aereo libico 24 – e non più soltanto dieci – ore al giorno. Il portavoce del Pentagono ha ritrattato le dichiarazioni del segretario alla Difesa Robert Gates, che aveva detto con durezza che “le ‘no fly zone' implicano un attacco aereo contro i radar, è guerra, e troppa gente ne sta parlando a vanvera”. L'atteggiamento ora più disponibile di Washington è di sollievo per il primo ministro britannico David Cameron, che per primo si è esposto con l'idea di una “no fly zone” e che per qualche giorno è rimasto solo.

    Paradossalmente, i primi a dire sì all'intervento americano sono i 57 membri dell'organizzazione dei paesi islamici con base in Arabia Saudita. “Uniamo la nostra voce a chi chiede l'interdizione aerea sulla Libia e chiediamo al Consiglio di sicurezza di fare il suo dovere a questo proposito – ha detto il segretario generale Ekmeleddin Ihsanoglu alla fine di una riunione d'emergenza dell'organizzazione – e rifiutiamo qualsiasi interferenza militare a terra”. A terra. Come a dire: a esclusione dei carri armati, qualsiasi altro intervento sarà facilmente condonato. Anche il segretario generale e l'ambasciatore a Washington della Jamiat ad Duwal al Arabiyya, la Lega araba, sono già d'accordo.

    Ieri i ventuno paesi membri – sarebbero ventidue, ma la partecipazione della Libia è congelata da febbraio – si sono riuniti per pronunciare la decisione scontata. Tra loro ci sono governi che potrebbero finire in condizioni simili a quelle di Gheddafi, con ribellioni interne e la necessità di repressioni brutali. Ma l'odio per il dittatore libico è più forte. Gheddafi ha sempre giocato contro di loro il ruolo di pericoloso e capriccioso guastafeste. Un vertice della Lega araba in Tunisia fu addirittura annullato perché si scoprì che il rais di Tripoli ne avrebbe approfittato per assassinare il principe ereditario saudita, oggi re Abdullah. E naturalmente c'è la richiesta dei libici. Da Bengasi il portavoce del Consiglio nazionale dei ribelli, Hafiz Ghoga, è sicuro che “se ci fosse la ‘no fly zone' per impedire a Gheddafi di bombardarci e di spostare in volo i suoi mercenari, la vittoria sarebbe nostra”.

    In questi giorni ci sono state altre proposte. Si è chiesto di armare i ribelli libici perché resistano e caccino il rais. Stephen Hadley, sottosegretario al Tesoro nell'Amministrazione Bush, ha avanzato l'opzione di fornire ai libici missili da spalla antiaerei, così da lasciare a loro il compito di difendersi dagli aerei. Ma l'idea di fornire Stinger a un'assemblea ignota di armati nel nord Africa infestato da al Qaida richiama subito alla mente il parallelo infausto con i missili finiti nelle mani degli estremisti in Afghanistan durante la guerra contro i sovietici negli anni Ottanta.

    Il portavoce della Casa Bianca Jay Carney lunedì si è lasciato sfuggire che l'opzione “fornire armi” era tra quelle allo studio. Ma un altro portavoce, quello del dipartimento di stato che è molto cauto, P. J. Crowley, si è affrettato a ricordare che fornire armi alla Libia è semplicemente illegale perché c'è un embargo dell'Onu stabilito dalla risoluzione 1.970: “Non dice al governo della Libia; dice alla Libia”. L'inviato Robert Fisk sull'Independent grida allo scoop e scrive che l'Arabia Saudita starebbe inviando armi anticarro ai ribelli per conto di Washington, contro i tank di Gheddafi. Ma la notizia è stata accolta con scetticismo e Fisk si è dimostrato in passato troppo affezionato al gossip mediorientale più scadente.

    John McCreary, uno dei commentatori americani più ascoltati sulle questioni di sicurezza, si è schierato invece per l'opzione del singolo attacco risolutivo per distruggere gli aerei e gli elicotteri di Gheddafi quando ancora sono a terra. “Il principio di fondo è che se non ci sono più aerei in grado di volare, allora la ‘no fly zone' è assicurata automaticamente, senza bisogno di andare a colpire batterie antiaeree, installazioni radar e i soldati che comandano i missili anti aerei”. “Qualcuno nel governo dovrebbe ricordarsi che cosa fece Israele nella Guerra dei sei giorni; o l'attacco giapponese alle basi dell'aviazione di Pearl Harbor e alla base filippina di Clark; sono esempi di ‘no fly zone' imposte con la massima efficienza – scrive McCreary – I ribelli possono ancora perdere la battaglia a terra, ma il campo di battaglia sarebbe stato livellato. Il mio non è un suggerimento. E' un lampo di ovvietà”.

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    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)