Flannery O'Connor e la scoperta che il bene è grottesco perché incompiuto

Edoardo Rialti

Se avessero detto alla gentile signorina georgiana Flannery O'Connor, circondata dai pavoni della sua casa ad Andalusia, che un giorno sarebbe stata considerata la più grande scrittrice cattolica americana, lei avrebbe subito commentato divertita che un artista è un po' come il lupo di Gubbio con san Francesco: “Non so se riuscì effettivamente a convertire questo lupo o se il carattere del lupo sia migliorato dopo l'incontro con san Francesco. A ogni modo, si calmò parecchio”.

    Se avessero detto alla gentile signorina georgiana Flannery O'Connor, circondata dai pavoni della sua casa ad Andalusia, che un giorno sarebbe stata considerata la più grande scrittrice cattolica americana, lei avrebbe subito commentato divertita che un artista è un po' come il lupo di Gubbio con san Francesco: “Non so se riuscì effettivamente a convertire questo lupo o se il carattere del lupo sia migliorato dopo l'incontro con san Francesco. A ogni modo, si calmò parecchio. Ma la morale della storia, almeno per me, è che il lupo, nonostante avesse molto migliorato il proprio carattere, rimase un lupo”. E lo stesso succede a quella stranissima bestia che è l'artista: “Per quanto la chiesa possa migliorare il suo carattere, se è uno scrittore, deve rimanere fedele alla sua natura”. Proprio per questa sua “diffidenza dell'astratto, rispetto dei limiti, desiderio di penetrare la superficie della realtà e trovare in ogni cosa lo spirito che la rende tale e tiene insieme il mondo”, alimentata da un senso dell'umorismo ora bruciante ora delicato, Flannery O'Connor è la scrittrice meno “chiesastica” e parrocchiale che si possa immaginare, disgustata da quei romanzetti devoti che promettono quella che lei chiamava “elevazione istantanea”. Non è un caso che i suoi racconti abbiano incontrato l'ammirazione di nomi così diversi come Kurt Vonnegut, Graham Greene, Michael O'Brien, Fernanda Pivano, Stephen King e Bruce Springsteen.

    Il lettore italiano può finalmente accedere a una preziosa raccolta di articoli, saggi e lettere inediti, curati con appassionata intelligenza dal gesuita Antonio Spadaro. Il titolo del volume Rizzoli, “Il volto incompiuto” da ieri nelle librerie, è tratto da uno degli scritti più importanti della O'Connor, fino a oggi inedito in italiano: la prefazione della scrittrice al racconto, steso da alcune suore, della vita e della morte di una bambina di nome Mary Ann, da loro accudita e uccisa dal tumore che le aveva già sfregiato il volto. La O'Connor dapprima si era tirata indietro: “Le storie di bambini devoti tendono a essere false”, eppoi figuriamoci se le era mai importato “di leggere di ragazzini che costruiscono altari e giocano a fare i preti, o di bambine che si travestono da suore”; eppure nella foto di quella bambina priva d'un occhio, ma sorridente, la scrittrice vide come affiorare incarnata tutta quell'incompiutezza dolorosa che – nelle parole del suo amato Nathaniel Hawthorne – per molti è una esperienza che scandalizza e “sconvolge, come fosse il segno visibile dell'imperfezione terrena”. Questo accade, secondo la O'Connor, perché siamo tutti assuefatti “di fronte al male, a guardarlo in faccia e, il più delle volte, trovarvi quel nostro riflesso ghignante con cui non facciamo i conti; ma il bene è un'altra faccenda. Pochi l'hanno fissato abbastanza a lungo da accettare il fatto che anche il suo aspetto è grottesco, che in noi il bene è qualcosa in costruzione. Le forme del male di solito ricevono espressione adeguata. Le forme del bene devono accontentarsi di un cliché o di una lisciatina che finisce per indebolire il loro reale aspetto”. Il mondo contemporaneo ha impugnato la bandiera che una vita spesso attraversata da sofferenze e ferite anche molto gravi non sia degna di essere vissuta, ma così “si guadagna in sensibilità e si perde in visione”. Privi d'uno sguardo autenticamente totale sulla realtà ci è rimasta solo “la tenerezza”, ma per la O'Connor, che per tutta la vita soffrì a causa del lupus che la portò a una morte prematura, quella del mondo di oggi è “una tenerezza che da tempo, staccata dalla persona di Cristo, è avvolta nella teoria. Quando la tenerezza è separata dalla sorgente della tenerezza, la sua logica conseguenza è il terrore. Finisce nei campi di lavoro forzato e nei fumi delle camere a gas”. Invece “quando guardiamo in faccia il bene, possiamo vedere una faccia come quella di Mary Ann, piena di promessa”, che può farci ricordare la nostra stessa condizione d'opera d'arte non ancora conclusa, proprio “come la creazione al settimo giorno”, e l'anelito che l'Artista la porti a compimento.