Sotto la piazza, l'abisso?/ 8

Non si può che scegliere l'inevitabile, la rivolta sarebbe comunque arrivata

Daniele Raineri

La rivolta sarà angosciosa per voi, ma noi grazie, si sta benissimo, dicono i ragazzi della rivolta araba edizione Yemen. E se ci lasciate fare, magari c'è una chance che alla fine starete meglio pure voi occidentali. In effetti, non c'è zona più sicura in tutto il paese di quel chilometro quadrato in mano agli studenti e all'opposizione e trasformato in tendopoli davanti all'università di Sana'a.

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    La rivolta sarà angosciosa per voi, ma noi grazie, si sta benissimo, dicono i ragazzi della rivolta araba edizione Yemen. E se ci lasciate fare, magari c'è una chance che alla fine starete meglio pure voi occidentali. In effetti, non c'è zona più sicura in tutto il paese di quel chilometro quadrato in mano agli studenti e all'opposizione e trasformato in tendopoli davanti all'università di Sana'a. Lo Yemen non è la Libia che brucia, ma offre da anni un vasto repertorio di problemi cronici di sicurezza.

    Fuori dal cordone dei ragazzi che si tengono per mano per delimitare i confini dell'area strappata al governo ci sono due guerre civili, una a nord e una a sud, i fanatici islamisti (al Qaida inclusa) e soprattutto il volto onnipresente e repressivo della macchina militare – non molto differente da quella che a Bengasi ha mandato gli elicotteri da guerra e i cecchini contro le manifestazioni, ieri notte gli yemeniti hanno ucciso a fucilate due studenti. Dentro il cordone dei ragazzi, è una bolla di modernità e auto organizzazione. Il servizio d'ordine che perquisisce chi entra per tenere lontane le armi, le pacche sulle spalle per gli occidentali, le donne con il megafono – una visione che nell'ultraconservativo Yemen è inaudita – la libertà di circolazione senza mostrare permessi elemosinati dal ministero dell'Informazione, la voglia di raccontare ai giornalisti quello che sta succedendo in tutto il poco inglese che c'è.

    Sarebbe ingenuo considerare questo l'unico volto del ricambio arabo, perché esiste una lista di cattivi soggetti che non aspettano altro che di entrare in gioco. Ma ci sono fattori di speranza da tenere in considerazione, prima di fasciarsi la testa o di metterci sopra un velo. Uno è che gli arabi stanno realizzando che non hanno assolutamente bisogno di tagliatori di teste e di stragisti suicidi e di predicatori della guerra santa per liberarsi dalle catene delle tirannie secolari. Al Qaida si sta dimostrando totalmente ininfluente nella pur cruenta primavera araba. Un secondo è che questi cambiamenti sarebbero prima o poi arrivati comunque, per raggiunti limiti di età dei rais (e chissà che cosa pensa nel suo palazzo il sovrano saudita, nato nel 1923). Tanto vale gestire fin da ora l'inevitabile e scegliere chi appoggiare, se fuori o dentro il cordone di studenti.

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    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)